l’attesa del primo figlio

Ieri sera, alla mostra di Mirò, io e Enne abbiamo incontrato un’amica che più o meno fra 1 mese darà alla luce la sua prima figlia. Vederla così, radiosa e serafica, nel pieno del suo congedo parentale, mi ha fatto ripensare a me un mese prima della nascita di Olli. A quel periodo che posso tranquillamente affermare essere stato più felice, spensierato, esaltante dell’estate della maturità. Forse il più perfetto in assoluto. Quel periodo in cui mi sentivo al centro dell’universo, portatrice di vita e quindi invulnerabile. Ho ripensato a me che fluttuavo – perché non camminavo, io fluttuavo letteralmente – per le vie di una Milano incandescente di luglio, con l’asfalto che si scioglieva a ogni passo, senza realmente sentire la fatica. Ho ripensato a me con la testa leggera, libera da qualsiasi cruccio, eccitata da quel cambiamento imminente che avrebbe rivoluzionato la mia vita per sempre. Ripensavo alla tempesta di ormoni che mi rendeva irriconoscibile: dispensatrice di sorrisi, promulgatrice di bontà e portatrice sana di pace interiore. Ho ripensato ai pisolini pomeridiani di 2 ore che non facevo da quando avevo 4 anni, alle montagne di libri comprati per prepararmi all’evento ma anche al prima e al dopo. A Cosa aspettarsi quando si aspetta, a Fate la nanna, all’ingenuità di chi pensa che sottolineando e imparando a memoria interi passi di quei manuali tutto sarebbe stato sotto controllo, non ci sarebbero state sorprese. Agli ammonimenti tipo ‘goditela più che puoi, perché dopo è finita la pacchia’ delle amiche già madri da un pezzo a cui non davo il minimo peso; alle ore a scegliere tra la tutina a fiori e quella tinta unita, ai chili di liquirizia che mi attenuavano il senso di nausea, ai prendisole di Zara taglia 44 perché mi rifiutavo di comprare quei tristi vestiti prémaman, alle vacanze a giugno quando tutti sono al lavoro, alla signora che mi cedeva il suo posto sul tram, al signore che teneva lo sguardo fisso sullo smartphone fingendo di non vedere la mia pancia per non cedermi il posto sul tram. Alle attenzioni di Enne, che prodigo di attenzioni è stato sempre, ma quando aspettavamo Olli è stato cavalier servente, massaggiatore di piedi gonfi, spacciatore di Amuchina, sollevatore di sacchetti della spesa e motivatore quando il momento fatidico era prossimo e io me la facevo un po’ sotto dalla paura.

Ragazze in attesa del primo figlio, vivete questo tempo appieno, fotografatevelo in testa, gustatevi ogni secondo, ogni dettaglio perché, come l’estate della maturità, non tornerà mai più.

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