3 libri intensi da assaporare con calma come un buon vino
Gennaio, tempo di buoni propositi e, soprattutto, di nuovi libri dai quali lasciarsi conquistare. In silenzio. La mia latitanza dal blog è nata proprio da qui, dalla necessità di tuffarmi, letteralmente, in letture straordinarie delle quali vi darò conto a seguire. Difficile selezionarne una e per questo ho preferito riportare qui i miei ultimi coup de foudre dai quali, perché no?, farvi colpire. Una sola avvertenza: il numero delle pagine richiede assoluta abnegazione alla lettura.
Anzi…sottomissione, per rimanere in tema con il primo libro e, sicuramente il più atteso, per il quale chiedo anzitempo venia a causa della poca obiettività che caratterizza il mio giudizio su Michel Houellebecq, tornato con quel suo “Annientare” (edito da La Nave di Teseo) che si è fatto divorare senza colpo ferire. La premessa è d’obbligo: il grande écrivain francese è cambiato, si è addolcito, ha lasciato che il suo sguardo sugli uomini e sulla società fosse più lieve, sempre poco indulgente, vero, ma meno cinico di quanto suo solito. La sua scrittura è stata tacciata di essere trasandata, noncurante e libera dal bello stile: un’opinione che condivido per metà ma sulla quale non voglio dilungarmi. Resta il fatto che Houellebecq si conferma il narratore perfetto dei tempi moderni, per quella sua capacità illuminata di mettersi al centro del dibattito attuale individuandone le tematiche più calde sulle quali costruire la dinamica dei suoi libri. Ci sono la politica, la sessualità, il problema delle minoranze, le minacce esterne, la volontà di sopravvivenza, il futuro dell’umanità che si accompagnano a nuove e profonde declinazioni in cui l’amore, investito da una nuova tenerezza e da un significato salvifico, trova il contrappunto nella malattia, nell’anzianità, nella morte stessa. Ma procediamo con ordine. Nel 2027 Paul Raison, consigliere del ministro delle Finanze francesi e possibile candidato alle elezioni presidenziali, vive a Parigi un’esistenza quieta e vagamente noiosa, finchè non accadono due cose. Il padre viene colpito da un ictus e costringe la famiglia tutta, compresa la moglie di Paul, Prudence, con la quale lui condivide una quotidianità da separati in casi, a rivedere i propri equilibri. E non sarà un affaire molto semplice. La seconda è legata a stretto giro alla comparsa di un inquietante gruppo terroristico che comincerà a mandare messaggi criptati accompagnati, naturalmente, dai più disparati attentati destinati a influenzare le vicende politiche del paese. Qui mi fermo perché è intorno a questi due macro temi che la mano dello scrittore tesse una narrazione che, al netto di una lungaggine pseudo filosofica nella quale ogni tanto si perde, rende la lettura un vero e proprio piacere.
Se avete voglia di farvi travolgere e, soprattutto, se avete ore a disposizione per voi, il libro giusto è “Una vita come tante” di Hanya Yanagihara (edito da Sellerio), un romanzo capace di creare dipendenza grazie a quella chimica del dolore di cui sono intessute le pagine che scatenano empatia con i personaggi e flirtano con il lettore rendendogli impossibile distogliersi dalla lettura. Per me è un capolavoro impossibile da recensire: la bellezza delle oltre 1000 pagine della storia raccontata dalla scrittrice statunitense di origine hawaiana è nella fruizione personale di vicende che rimangono impresse nella memoria e nell’animo di chi legge in maniera, ahimè, indelebile.
La ragione per la quale ho (ri)letto il libro di cui sopra è molto semplice: a gennaio è uscito anche “Verso il Paradiso” (edito da Feltrinelli), in cui Hanya Yanagihara si serve di tre diversi piani temporali – il 1893, il 1993 e il 2093 – per indagare i lati oscuri dell’umanità e per concentrarsi, ancora una volta, sui temi a lei cari. Un libro ambizioso, in cui la commistione di amore, razzismo, utopia, vergogna e solitudine disegna ancora una volta la complessità dell’animo umano, tanto capace di voli pindarici quanto ugualmente vittima e carnefice di sé stesso, con il suo essere implacabile e tenero al contempo. Un libro che ancora una volta ha la sua cornice preferita in quella New York che, al netto degli scarti temporali, è paradiso e prigione per i suoi abitanti. A una prima parte tardo ottocentesca in cui il rampollo di una blasonata famiglia rifiuta il matrimonio con un corteggiatore agé di prestigio perché attratto da un insegnante di musica di dubbi natali si contrappongono i strazianti anni 90 del secolo successivo in cui, sempre nella Grande Mela, le relazioni, in particolare quelle di un giovane hawaiano con un anziano facoltoso, sono guastate dall’incombere della piaga dell’Aids. Un assaggio dell’incubo del mondo distopico del 2093, devastato da continue pandemie e dai terribili effetti del cambiamento climatico, lacerato da conflitti e da un regime totalitaristico che non lascia scampo e di cui farà le spese una giovane ragazza chiamata a risolvere diversi misteri e segreti tenuti nascosti nel nome del nonno, celebre scienziato oramai deceduto. Un romanzo dalla struttura bizzarra e legato da un continuo gioco di richiami in cui viene portata al parossismo quella deliziosa capacità dell’autrice di tratteggiare l’amore, omosessuale soprattutto, e le sue sfumature più torbide, in cui vergogna, senso di colpa, disprezzo e mancanza di autostima festeggiano serenamente. E ancora c’è la meraviglia di seguire una scrittura fluida in cui la descrizione minuziosa delle cose materiali fa da contrappunto all’indagine stessa dell’animo dei personaggi, tormentato, malato, mai passibile di requie. L’ho amato, naturalmente.
Tanto quanto amo Shirley Jackson che, con Georges Simenon e Philip Roth, si contende il primato di certezza tra le mie letture. Sono i suoi meravigliosi racconti racchiusi ne “La luna di miele di Mrs Smith” (edito da Adelphi) a costruire un universo di ossessioni in cui la casa e l’ambiente domestico, il soprannaturale, la paura, il mistero mai del tutto chiaro, la profondità psicologica dei personaggi sono indagati con una penna ironica e leggera, al netto del chiaroscuro gotico che disegnano. Un corollario di tormenti da tenere a bada con una vivacità di scrittura e di approccio che trasforma anche l’incubo più temuto in divertissement colto e, soprattutto, estremamente piacevole.
Testo di Ursula Beretta
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