La memoria della cenere

La memoria della cenere di Chiara Marchelli, uscito per NN Editore, è un libro potente, con una prosa avvolgente e un linguaggio scarno che fa perno sulla fragilità umana e spolpa i sentimenti più elementari per arrivare all’essenza stessa della vita, talmente labile da rischiare un punto di non ritorno.

Un romanzo che nasce dove l’esistenza finisce, ovvero da una malattia improvvisa, un aneurisma che colpisce Elena, la scrittrice protagonista del libro, a New York, città in cui vive con il suo compagno Patrick, e la lascia frantumata ma salva, con davanti a lei l’idea di una convalescenza tutta da inventare e una vita divisa in due, quella passata e quella nuova, da ricostruire con estrema pazienza.

Un percorso da fare lontano dalla metropoli che porta la coppia nel cuore della Francia, in una vecchia casa di famiglia, in un paese scandito da ritmi ancestrali e sotto lo sguardo del Puy de Lùg, un vulcano irrequieto la cui sagoma, come un’arcana divinità, sovrasta le nuove giornate di Elena.

Non era mio, ed era per quello che lo volevo. Un luogo che non somigliasse a ciò che non ero più.

Un’atmosfera apparentemente tranquilla, fatta di ritmi da riprogrammare, di amicizie da creare, di zone d’ombra da indagare, di parole da scrivere per non perdere l’abitudine di un mestiere che sembra svanire come i ricordi. Giorni sospesi ed esaminati senza indulgenza, come se la convalescenza, con i suoi ritmi blandi, con le sue passive accettazioni, fosse conseguenza di una “colpa” di cui si è poco coscienti ma che rimane in attesa di chiedere il conto. 

Dicono sia imprevedibile. Non doveva succedere a me, quindi potrebbe riaccadere con la medesima illogicità. Ma io so perché. Credo che esista una misura di saturazione oltre la quale non si può andare. Nei sentimenti, nei pensieri. Colmi quella misura e, se non ti fermi, il corpo si ferma per te.

Una saturazione che rischia di esplodere nuovamente quando, dall’Italia, arrivano i genitori di Elena in visita e, tra le mura domestiche, emozioni e tensioni si moltiplicano parallelamente all’intensificarsi dell’attività del vulcano al di fuori che si risveglia e mette in allarme il circondario facendo della casa, dove è rinchiusa la famiglia, l’epicentro di un universo isolato e claustrofobico.

Rovesciare il tempo, tornare bambina, chiusa, blindata, sprangata nella mia cameretta, lontano – bisogna stare lontano per mettersi in salvo – e in silenzio. Portatemi via, proteggetemi.

L’eruzione del vulcano si accompagna, anche, al movimento interiore della protagonista: tra ricordi vecchi e nuovi, confessioni amare e scenari imprevisti, e ancora bugie, segreti, insicurezze, Elena si trova a tirare le fila del suo flusso di coscienza, che, al pari del magma rovente, travolge ogni sua certezza, tra scampoli di vita passata e nuove verità che possono mettere in discussione anche i rapporti più saldi, come il suo con Patrick.  La narrazione si fa indagine affilata, investe coppia e famiglia, ribalta i ruoli e modifica le percezioni, lasciando alla protagonista un sottile senso di tramortimento, pari a quello causato dalla malattia. Scrittrice, compagna, figlia, amante: Elena non ha più risposte ma deve cercare scampo ai tarli che la feriscono esattamente come sta facendo la natura, in una sorta di panismo artificiale fatto di sensazioni, di ferite e di magma.

Una scrittura lucida, tagliente ed essenziale accompagna La memoria della cenere aprendo un varco tra il lettore ed Elena, costringendolo a replicare sulla sua pelle la complessità degli eventi e, soprattutto, quella delle relazioni: tra genitori e figli, tra uomo e donna, tra salute e malattia, tra scrittura e memoria. Un percorso accidentato e difficile, che talvolta obbliga a staccare gli occhi dalle pagine per porsi le stesse domande di Elena, per vivere la sua stessa sottile angoscia. Per cercare nuove risposte.

Ma la malattia non è un’epifania, la malattia può e deve essere tante cose: non c’è nessun vittimismo in questa indagine ma una lucidità implacabile che costringe la protagonista ad andare avanti, a trasformare il limbo in cui si è rinchiusa per guarire in una tempesta di emozioni che scardinano ogni certezza. La malattia è anche un pretesto per fare delle scelte, per prendere una direzione perché, per quanto uno possa cercare di restare immobile, arriva poi la vita a far succedere cose che lo rimettono in movimento. Esattamente come accade in natura.

Un romanzo non facile, con un retrogusto aggressivo e destabilizzante, ma bello, denso, avvolgente. Da leggere.

Un’esperienza del genere è piuttosto rara. Per la normalità c’è sempre tempo.

 

Testo di Ursula Beretta

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