Acqua salata
“Quando il presente comincia a sgretolarsi, c’è spazio per scrivere il futuro”
Forse basterebbe questa frase per riassumere l’infinita bellezza di un romanzo che si legge come una favola dai toni leggermente dark e che avvolge con la struggente intimità di un diario di vita, profondo e intenso, agrodolce e a tratti disperato, terribilmente vero.
“Acqua Salata” di Jessica Andrews, edito da NN Editore, non è un libro facile, non offre scorciatoie, ma accompagna in un salto nel vuoto che a tratti sembra un baratro, in altri appare come un paradiso.
Al centro c’è la vita di Lucy, che cambia al ritmo vorticoso dei chiaroscuri delle persone che la circondano: per l’assenza del padre alcolizzato, a causa delle preoccupazioni per la sorte del fratello sordo, con la bellezza delle estati in Irlanda a casa del nonno, seguendo le passioni passeggere di una madre bella, adorata e irraggiungibile. Per Londra, città dove Lucy si ritrova a studiare tentando di lasciarsi dietro ogni legame.
Ma il passato non lo si può imbrigliare: una volta laureata, Lucy ritorna in Irlanda, nel Donegal, nel vecchio cottage che il nonno, ormai morto, le ha lasciato. Ed è qui, in compagnia di un paesaggio inospitale e selvatico, che la ragazza lascia libero sfogo alla sua memoria con ricordi taglienti e impetuosi come la natura che la circonda. Sono pensieri che hanno il sapore dell’infanzia, del legame profondo con la madre, degli amori bambini, delle ambizioni pailletteate dell’adolescenza. Perché andando incontro all’età adulta, Lucy ha capito quello che non vuole essere. Ed è certa che, per cambiare, deve ripartire da ciò che è stata.
“Sono continuamente alla ricerca di qualcosa che non so esprimere, continuamente sradicata e in fuga, mossa da un sentire astratto nel profondo della pancia. E se non avessi fatto bene a lasciare Londra? E se questo non fosse il modo giusto di vivere? Forse è meglio desiderare cose concrete, come corpi e oggetti. Tutto quello che voglio è invisibile. Le cose invisibili hanno un valore?”.
Sono parole esplosive, istintive, sature di sensazioni, che si infilano sottopelle e lì restano in attesa. Lucy domanda, chiede, pensa, cerca. Abbandona ogni certezza. Lascia libero sfogo a un’esperienza umana in cui il sentire diventa prioritario e annulla ogni pretesa di oggettività.
“È tutto fuori controllo. Va a rotoli, si spacca. Il mondo che ho costruito si sta spezzando. Squarciato dalle sue dita ruvide. Il nostro passato cade a secchiate come pioggia dal cielo, rimbalzando sull’asfalto e frantumandosi attorno ai miei piedi. Credevo di essermi trasformata in qualcosa di diverso, ma le persone che ti hanno dato forma resteranno sempre con te.”
“Acqua salata” è un libro bellissimo. Un romanzo di formazione e, soprattutto, di accettazione: del passato, che non si può cambiare ma che si deve usare per ricostruire; di sé stessi, al netto di sogni e aspettative che possono e devono necessariamente non avere nulla a che fare con quelli degli altri; di una famiglia, rattoppata e poetica, alla quale non si può rinunciare. E, tutto, sempre senza avere rimpianti.
Il cuore del romanzo è la scrittura della Andrews: vorticosa, insaziabile, capace di passare dalla prosa alla poesia, di mischiare i tempi narrativi senza mai far perdere il filo al lettore ma aprendo uno squarcio palpitante nell’anima di Lucy.
“Una volta che hai respirato la polvere, non puoi più liberartene. Tutte le cose importanti contengono il loro opposto.”
Un libro perfetto per chi si perde anche con in mano una mappa, per tutti quelli che cantano ancora le canzoni degli Oasis, per quelle che indossano paillettes anche alla luce del sole, per chi sceglie di cadere senza preoccuparsi di quanto possa farsi male ma solo per la curiosità di vedere come va a finire.
Testo di Ursula Beretta
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