Atti di sottomissione
Non esiste solo Sally Rooney (e per fortuna, oserei dire) nel vivace panorama letterario irlandese che, da qualche anno, sta mettendo la sua firma su romanzi capaci di scuotere lettori e opinione pubblica grazie a quella capacità di esplorare azioni e contraddizioni della nuova generazione. E lo fa senza moderazione alcuna, usando la lingua scritta come un coltello per incidere forte e chiaro un pensiero, o meglio, un attitude, che non accetta compromessi.
È il caso di Megan Nolan che, nel suo romanzo di esordio, “Atti di sottomissione” (edito da NNEditore) mette in scena la storia di una ventenne che, come si evince dal titolo stesso del libro, si troverà costretta a piegarsi, obbedendo, a qualcosa di più grande di lei. O meglio, in questo caso, a qualcuno. Di straordinariamente affascinante, di terribilmente pericoloso, ancora avvolto dai legami di una relazione passata tossica, incapace, più o meno volontariamente, di godere dell’amore che la ragazza fin da subito gli offre. Il perché è semplice e si evince fin dal primo ritratto che viene fatto del ragazzo, Ciaran, perfetto esempio di narcisista patologico. Inevitabile che, dopo una (breve) vita di rapporti accennati e di bagordi nelle notti dublinesi, la protagonista se ne innamori perdutamente e che cominci fin da subito ad ammalarsi di questo amore che non lascia scampo se non, appunto, la completa sottomissione.
Sono pagine di una dolcezza crudele quelle che descrivono senza mezzi termini la fatica di costruire qualcosa di sano con chi appare riottoso a cedere alla purezza elementare del sentimento: sono fughe, ritorni, liti, silenzi; e poi ancora riconciliazioni, un’apparente normalità che il lettore si aspetta da un momento all’altro di vedere trasformarsi nel suo esatto contrario. Al netto, naturalmente, degli sforzi della protagonista che si trasforma nella fidanzata ideale, dolce e accudente, premiata da qualche debole concessione al pari di un animale domestico. E lui, anaffettivo e concentrato solamente su sé stesso, non appare minimamente scalfito dal terremoto interiore che la ragazza vive in prima persona e che riversa in una narrazione densa, appiccicosa, tra smarrimenti ed eccessi raccontati in maniera poco lineare, esattamente come avviene nella realtà.
Sesso, dipendenza, terrorismo psicologico, mancanza di libertà: un senso di soffocamento conduce chi legge in una spirale di sottomissione nella quale non si intravvede via di uscita se non scelte disturbanti ed eccessi che portano, lentamente, a un totale annientamento.
“Il rimproverarmi e modellarmi. I complimenti ambigui e i consigli sarcastici. La costante consapevolezza che mai e poi mai sarei stata quello che voleva. Il piacere spesso non era piacere, era sollievo dal dolore. Era legarti da sola e sentirti bene quando le bende cadevano, era procurarti un buco nella gamba per poter sentire che guariva. Avevo sofferto, avevo trasformato la sofferenza in qualcosa che riuscivo a considerare buono. Avevo fatto in modo che la sofferenza fosse una specie di lavoro”.
C’è molta rabbia in un romanzo che arriva diritto come un pugno nello stomaco costruendo la storia di un precipizio sentimentale in cui l’amore – invocato, rincorso, bestemmiato, sconfitto- rimane il pretesto per giustificare un malessere e un’ossessione che non perdonano. Forse.
testo di Ursula Beretta
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