Autobiografia di Petra Delicado

È quasi impossibile non conoscere Petra Delicado. O meglio, le avventure di quella che è la protagonista dei numerosi romanzi polizieschi firmati dalla geniale penna di Alicia Giménez-Bartlett che incantano, da anni, i lettori di tutto il mondo. Ma la vita, la storia ricca di sfaccettature dell’ispettrice che riporta l’ordine tra le strade di Barcellona è sempre stata un’incognita, solo a volte spezzata da qualche indizio, ovviamente, ballerino ma mai capace di tratteggiare  un ritratto completo. L’urgenza di sapere qualche cosa di più di un personaggio che appartiene, quasi, al quotidiano di ogni lettore ha spinto l’autrice spagnola a scrivere “Autobiografia di Petra Delicado” (edito da Sellerio editore Palermo) che apre uno squarcio sull’esistenza di una donna ruvida ma capace di amare, scaltra e sagace ma pur sempre mossa da quelle caratteristiche smaccatamente femminili che la rendono, se possibile, ancora più amata. E di amore, del resto, nelle oltre 400 pagine in cui si dispiega la vicenda biografica di Petra Delicado,  ce n’è davvero parecchio…

Sono nata avvolta dall’amore, circondata dall’amore, immersa, sprofondata nell’amore. Quello che era stato liquido amniotico si trasformò in amore non appena respirai la prima boccata d’aria della mia vita. (…) fino a quando compresi che il loro non era un amore incondizionato, era un amore ‘nonostante”.

I “loro” sono la famiglia Delicado, da cui prende vita la narrazione dell’ispettrice che ha deciso di chiudersi in un monastero in Galizia per tirare le fila della sua esistenza, stremata, come ogni donna che si rispetti, dalle incombenze di un quotidiano privato e professionale che lei stessa mette forzatamente in pausa. Per guardare indietro, per capire, per ritrovarsi in un passato che le scorre nelle vene e che ha segnato in maniera indelebile la maggior parte delle sue scelte.

Dal rapporto con le sorelle, così diverse, così lontane da lei, a quello con il padre, per cui bastano pochi indizi per ricavarne il profilo di un uomo piacevole, fino ad arrivare all’ingombrante figura materna, forse mai compresa fino in fondo, ma nei cui tratti salienti Petra non può che ritrovarsi. “A mia madre devo la mia tendenza alla teatralità, la mia fermezza femminista e i primi rudimenti dell’odio. La capacità di odiare, una volta temperata dal passare degli anni, mi è stata di grande utilità”.

Sono gli anni della Spagna del tardo franchismo, dello sgretolarsi di quella mentalità schiva e oscura che, dopo aver invitato le donne al matrimonio e alla cura della propria famiglia, lascia il passo ai prodromi di un femminismo nuovo, di rottura, che per Pedra coincide con un’ansia di libertà e di indipendenza che proprio nel percorso intrapreso nell’Accademia di Polizia troverà il suo compimento.

E in mezzo ci sono sensazioni, incontri, ricordi, soprattutto matrimoni e compromessi che consegnano al lettore tutta la complessità di un personaggio accattivante e piacevole, diventato a suo modo un’icona che sa sempre il fatto suo. Perché “dalla vita bisogna scegliere da un menu di ristorante dove i cuochi siamo noi”.

Testo di Ursula Beretta

 

 

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