Ciao marzo!
Oltre ad avere sempre Parigi, avremo sempre Simenon. Al netto del gioco di citazioni al limite del blasfemo, il nuovissimo “L’orsacchiotto” (Adelphi) è l’ennesima, assoluta certezza per gli amanti del romanziere francese e anche per chi ancora non lo conosce (ed è pronto a innamorarsene). Il ginecologo Jean Chabot è la pedina perfetta nello schema più classico di Simenon: un protagonista apparentemente appagato dalla sua professione e decisamente meno dalla vita privata, con una moglie di facciata e una segretaria-amante onnipresente che risolve per lui anche le faccende più scomode. Come quella della giovane infermiera alsaziana, sedotta dal medico attratto dalla sua innocenza del tutto simile a quella di un orsacchiotto di peluche, che inavvertitamente rimane incinta e, con la stessa insolenza, scompare. Ma non è con indifferenza che Chabot alimenta il suo morboso senso di colpa, flirtando con una pistola e con quel buco nero che solo Simenon riesce a restituire con forza al lettore accompagnandolo in un vagabondaggio feroce verso un finale inaspettato. E, ovviamente, sublime.
Le due vite di un’unica donna, Maria, che esce dal carcere e si ritrova a riprendere le fila della sua esistenza in un mondo che, a conoscenza delle sue colpe, non la condanna ma semplicemente non la fa vivere, sono il cuore di “Non esisto” di Alberto Schiavone (edizioni Clichy). È un viaggio diverso e doloroso lungo la strada dell’indifferenza; è un percorso a ostacoli per rimanere lontani dal babau della prigione ma, al contempo, scoprire che non è poi così facile privarsi della lettera scarlatta che rimane la sola compagna fedele quando la casa è un giaciglio inventato e la famiglia è una sterile parola senza più senso. E l’amore? C’è spazio in questa discesa nel nulla per un abbraccio, un bacio, una speranza?
E sempre di una risposta, o più d’una, si va alla ricerca ne “La vita di chi resta” di Matteo B. Bianchi (Mondadori), un romanzo che è un lungo canto d’amore e di disperazione verso chi si n’è andato e che, per farlo, ha scelto un modo feroce, incomprensibile, definitivo. Il rischio di cadere nella retorica del dolore viene mangiato dall’anima dell’autore, che si spoglia di ogni pudore e si apre a un monologo, a tratti straziante, con cui riconsegna a chi legge la sua storia con S. dilatando il tempo per permettergli di ospitarne la memoria e quello che di questa rimane. Un diario dell’assenza e, al contempo, una grande storia d’amore; un percorso nel dolore e un grido di rabbia; un insieme di interrogativi e di sensi di colpa e di accuse e di tenerezza. Un libro che non ha bisogno di una recensione ma semplicemente di essere letto.
La signora inglese del thriller, Paula Hawkins, regala la storia di tre ragazzi inseparabili fin dai tempi della scuola divisi, in età adulta, da un bizzarro omicidio. Succede in “A occhi chiusi” (Piemme) in una casa sulla scogliera che attutisce i suoni e confonde i punti di vista sfuocando i contorni dei protagonisti per portare in superficie solo la loro psicologia e quei segreti feroci che spesso si celano dietro atteggiamenti di convenienza. Il tutto con una scrittura asciutta capace di creare tensione.
Se le cattive ragazze vanno dappertutto, come recitava il titolo di un manuale di qualche anno fa, qual è la sorte di quelle ammodo? Ci ha pensato Olga Campofreda in “Ragazze perbene” (NNEditore) a rispondere partendo da quella che, a tutti gli effetti, è la dura legge della provincia dove se non rispetti certi diktat, sei tagliata fuori. È per sfuggire a questa schiavitù che Clara, lasciata l’università, si rifugia a Londra a insegnare italiano e a perdersi nel mondo dei dating online prima di fare ritorno a casa, a Caserta, per il matrimonio della cugina Rossella, con cui ha diviso un passato di anima gemella e che ora, con l’abito bianco, si prepara a un futuro già scritto, da ragazza perbene appunto. Ma l’apparenza inganna e la sliding door è dietro l’angolo, o meglio, dentro le pagine di un diario. E se anche Britney Spears si scioglie i codini per rasarsi i capelli senza pietà, chi dice che rassegnarsi a un destino già scritto sia l’unica strada percorribile? Campofreda ha scritto un romanzo scomodo, in cui le personalità sfaccettate delle giovani donne vanno letteralmente a nozze con un desiderio di ribellione che altro non è che quella sana affermazione di sé, contro tutto e tutti, a cui non si deve rinunciare. Perché quante porte ci separano dalla versione di noi stessi che più ci assomiglia?
Ultimo, ma solo per oggi, il delizioso “Sociopatici in cerca di affetto” (Bollati Boringhieri) di Michele Mellara. Tanti racconti che si incastrano fino a costruire un gioco di rimandi che diventa un romanzo ricco di personaggi surreali e alla ricerca del loro posto nel mondo grazie – o a causa – dell’amore. Che può essere salvifico e, allo stesso modo, causare un’estrema solitudine capace di sfociare in vera e propria ansia sociale. Sociopatia, in estrema sintesi, che diventa il fil rouge di storie originali e spiazzanti, orchestrate in maniera ironica, a tratti, “calvina” e con quel filo di comica malinconia che resta la maniera perfetta per affrontare le relazioni amorose. E, naturalmente, la vita.
Testo di Ursula Beretta
Discussion about this post