Città irreale
Partire, lasciare tutto, andarsene e scoprirsi precari, ovunque e in ogni cosa: è un po’ questa l’essenza di Città irreale, romanzo di esordio di Cristina Marconi, edito da Ponte alle Grazie.
Un libro che potrebbe essere il sunto di una generazione, la mia, e la cartina tornasole di un’Europa divisa, incerta, viaggiata, incubatrice di speranze e matrigna di utopie – ma dalla bellissima colonna sonora! – che vede al centro una città, Londra, e una ragazza costretta a fare i conti con le sue radici, italiane, sentimentali, professionali.
Alina è la protagonista di una narrazione che attraversa più di due decenni fino ad arrivare ai giorni nostri: da creativa a Roma a segretaria in un’agenzia nella capitale britannica, città in cui cercare quella vitalità e quelle emozioni che l’Italia, sua patria d’origine, sembra averle negato.
Tutti apparteniamo a un posto, a una cultura, ma Londra è un posto aperto a tutte le culture, è una città da cui posso imparare.
Sono tentativi di costruire rapporti oltre l’apparente freddezza degli inglesi, sono sistemazioni precarie e non sentite, sono parole e voglia di omologarsi che si arrestano quando Alina conosce Iain, giovane medico inglese che ha legato parte della sua vita e dei suoi segreti all’Italia. La storia dell’uomo è un chiaroscuro di parole non dette e di segreti che vengono alla luce, nascosti dalla ritrosia degli amici e da un nome di donna, Vicky, che compare inframmezzato nel racconto delle vicende passate che si mischiano alle vicende del presente.
Sono sempre due mondi, due realtà che si scontrano in questo romanzo che sembra voler modulare i contrasti ininterrotti dai quali prende vita e in cui trovano spazio l’amore, il lavoro, la condivisione, l’amicizia ma in cui tutto pare avvolto da una patina di precarietà che si riflette, inevitabilmente, nelle relazioni. Alina non sa e non vuole scegliere, il suo desiderio feroce di libertà la porta a mantenere sempre delle distanze da tutto e da tutti, Iain compreso, e a non voler approfondire quella verità che, forse, potrebbe essere la chiave di lettura della sua vita.
Attrazione e repulsione, fuga e ritorno, Italia e Inghilterra, passato e presente: mondi che si sfiorano e che sono perennemente in balia di forze contrastanti in cui è necessario scegliere tra integrazione e fuga.
In questo stillicidio di certezze ben orchestrato dalla protagonista, c’è spazio per un affresco intenso di una realtà come quella della nuova e necessaria emigrazione italiana all’estero filtrata dalla rabbia di Alina che ha un fratello disoccupato a Roma e che non vuole tornare in un paese che tratta i giovani come postulanti molesti. C’è la Londra che non è solo un parco giochi in cui perdere la testa ma è il soggetto di un’evoluzione che, da melting pot vitale e colorato, acquista quella drammatica essenza contemporanea frutto della Brexit.
Città irreale è un libro ben scritto sul senso dei sogni, sulla volontà di realizzazione personale, sui legami e sull’errore che nasce dal credere che, per non perderli, sia necessario rinunciare a un’identità propria. È un romanzo che ha una protagonista che, nonostante tenga sempre le distanze dal lettore, fa venire voglia di scuoterla, di urlarle apri gli occhi, vai più a fondo, non credere che, per trovare te stessa, tu debba rinunciare alle certezze dei sentimenti. E’ un libro che, a volte, indugia sul bello scrivere, su pagine che sembrano esercizi stilistici da tanto sono cesellate e curate e spesso asettiche ma che poi ritrova guizzi scorrevoli e spontanei accompagnando momenti di lettura piacevole.
Testo di Ursula Beretta
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