I 40 sono i nuovi 30
Certe volte, anzi parecchie, schiacciata dall’energia traboccante dei miei bambini, ho come l’impressione che non arriverò alla fine della giornata. Stanca e sconfortata ripongo la consueta montagna di mattoncini Lego sparsi ovunque in una shopper rosa logata Madame Figaro, gadget-reperto archeologico del mio passato di fashion PR full time, e mi chiedo se è l’età che avanza a rendermi così poco abile a contenere l’iperattività di quei due, se ho aspettato troppo a fare i figli, se alla fine è vero che i figli vanno fatti a 30 anni al massimo, e se non fosse stato meglio seguire l’esempio di mia madre che mi ha avuta a 25 anni ed era scattante, in forma e sempre sorridente. Poi però alla fine della giornata puntualmente, più o meno intera, ci arrivo. Messi a letto i figli stappo la mia berretta, tra i fumi dell’alcol ritrovo l’ottimismo e penso che invece, a parte la fatica fisica che comporta, non è poi così male fare i figli dopo i 35 come è successo a me.
Sì, perché io non ho scelto, non ho pianificato quando e come avere i figli, è successo: loro sono arrivati quando hanno deciso di arrivare e, fatalmente, proprio quando ero pronta ad accoglierli come avrei sempre voluto. Non a 25 anni, quando ero un incasinato work-in-progress, troppo figlia per essere madre, quando volevo solo entrare a lavorare nel mondo della moda, conquistare un contratto a tempo indeterminato, fare tardi in ufficio (e sentirmi figa per questo!) come se il successo dell’azienda fosse tutto sulle mie spalle, uscire con le amiche, avere un fidanzato ma senza farsi promesse per il futuro. Non a 30, quando ero ancora una canna al vento, mi nutrivo a pane e Sex&theCity, passavo il tempo a contarmi i difetti e transitavo dalla fase intellettuale a quella alternativa a quella fashionista senza convinzione, riuscendo al massimo a fare programmi del tipo “mi diverto ancora un po’ ed entro i 36 metto radici”.
I figli sono arrivati dai 37 in poi, quando è arrivato anche il disincanto e la consapevolezza: che non avrei fatto mai carriera più di quel tot e che non me ne importava un fico secco, perché alla fine io ho lo spirito del gregario e non del leader; che lavorare nella moda non è che fosse il non plus ultra e che potevo fare altro, anche dai 38 in poi; che non è tutto oro quello che luccica, nell’amore come nelle persone come nel lavoro; che mi sentivo finalmente “definitiva”, centrata, senza rimpianti per cose che non ero riuscita a fare, perché in fondo avevo realizzato molti dei miei sogni che con un figlio da accudire non avrei potuto realizzare. Che mi sentivo bella senza più l’ansia di voler piacere a tutti, perché piacevo a me. Saggia più di un monaco buddista. I figli sono arrivati alla faccia dei ginecologi che tentavano di mettermi fretta con lo spauracchio dell’orologio biologico. Sono arrivati tutti e due senza il minimo calcolo e il benché minimo sforzo, a distanza di 14 mesi l’uno dall’altro. E hanno tirato fuori la ventottenne che è in me, ottimista ed entusiasta, sognatrice e un po’ naif.
Certo la nascita di Bibo mi ha lasciato come souvenir quell’odiosissimo muffin top che mi ricorda che la mia pelle non è più tonica come quella dei 30 anni, ma all’occorrenza trattengo il respiro, tiro in dentro la pancia e i miei jeans preferiti li infilo lo stesso. Del resto è per questo che hanno inventato l’elastame, no?
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