Il colibrì

Volete leggere un libro che è un film? Allora prendete Il Colibrì di Sandro Veronesi, edito da La Nave di Teso, trovatevi qualche ora libera e assaporate tutto il piacere di una lettura per fotogrammi che scorre, pagina dopo pagina, come se foste seduti comodamente davanti a un grande schermo.

Che io ami questo scrittore è cosa nota – non avevo nemmeno vent’anni e il suo “Gli Sfiorati” mi fece precipitare in un vortice di emozioni – ma questo romanzo va oltre, perché dentro racchiude tutto: amore, tradimento, bugie, famiglia, dolore, parole, amore, passione, lavoro, religione, psicanalisi, morte, amore, sempre amore e pure Parigi, come se Veronesi avesse voluto farmi un regalo. Un regalo che invece fa a chi si appresta a scorrere le sue pagine e a lasciare loro la grazia di vivere dentro di sé.

Ne “Il Colibrì” c’è una storia, e dentro ci sono tante altre storie, quelle che ruotano intorno al protagonista, Marco Carrera, un oculista poco più che quarantenne dalla vita apparentemente normale: una moglie, una figlia, due genitori, un fratello e una sorella – la cui sorte è chiara fin dall’inizio -, un grande amore che gli massacra il cuore ma soprattutto la mente, e uno psicanalista che, da subito, sconvolgerà ogni possibile simmetria esistenziale.

Ci sono infiniti piani narrativi che rendono impossibile capire dove collocare la vicenda: c’è un presente fortuito, un passato sempre attuale, un futuro che fa capolino e che diventa un filo invisibile che, come molti altri fili, terrà unita tutta la narrazione.

E c’è un narratore, Marco, e poi c’è una voce femminile, Luisa, il grande amore, che parla attraverso lettere che mischiano il racconto e fin da subito appare chiaro come “Il Colibrì” sia, a discapito del titolo, un libro avvolgente e delicato, questo sì, ma immenso.

C’è tutto e non un solo modo di vedere o di leggere le cose mentre si seguono le vicende di Marco Carrera e della sua famiglia, il rapporto sfilacciato con il fratello Giacomo al quale il medico scrive mail senza ottenere risposta dopo la morte dei suoi genitori, c’è l’instabilità delle donne che gli stanno intorno: quella malata della sorella Irene; quella fedifraga e bugiarda della moglie Martina; quella sana e segnata della figlia Adele, cresciuta convinta di avere un filo legato dietro la schiena, come una giovane schermitrice; ci sono amici colpiti da profetiche tare capaci di cambiare il corso della storia.

E poi c’è tanto, tantissimo amore. Un sentimento che avvolge ogni vicenda, che il protagonista, seppure in maniera inconsapevole, riversa su tutti quelli che gli stanno intorno e, in maniera più totalizzante, su Luisa Lattes, giovane passione adolescenziale che diventa oggetto di un sentimento platonico, consumato via fermo posta, straziante e intenso come solo gli amori veri possono essere.

Io credo che tu sia la parte migliore della mia vita, quella senza bugie, senza inganni o incazzature, la parte che si può sognare, anche la notte, perché io continuo a sognarti. Rimarrà un sogno? Accadrà tutto? Accadrà qualcosa? Io sono qui e aspetto, non voglio fare niente, voglio che le cose accadano da sole.

 

Leggere questo libro significa non cercare nessun rapporto di causa-effetto nelle vicende narrate: è tutto talmente stratificato e legato da rendere impossibile la ricerca di un nesso logico che distingua il prima e il dopo, equivale a non cercare significati che vadano oltre la semplice essenza dell’umanità, destinata a essere tanto felice quanto disperata. Perché in queste vite ramificate e intrecciate tra di loro c’è spazio anche per tanto, tantissimo dolore, che non arriva in un momento solo ma viene spezzettato in frammenti piccoli e terribili che colpiscono a tradimento e impongono momenti di riflessione.

Ma è tutta vita e, come tale, impone di andare avanti senza arrestarsi, nonostante tutto e tutti, senza mai perdere la fiducia in sé stessi: un po’ come fa il colibrì, che non solo può stare fermo in aria mentre la tempesta imperversa ma può addirittura volare all’indietro. E alla fine, a discapito di ogni tentativo di immobilità, si finisce per andare avanti lo stesso e per arrivare lontano dal punto di partenza.

Per andare dove non sai, devi passare per dove non sai”: il verso di Giovanni della Croce è, per Marco Carrera come per tutti, una traccia da seguire.

Non voglio aggiungere altro.

Testo di Ursula Beretta

 

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