La contro-fashion week
Cos’è che dicevo qualche post fa? ah sì, che alla fashion week di febbraio sarei stata tutta un saltabellare da un evento a una sfilata, indossando look studiatissimi, con le unghie laccate della tonalità di smalto abbinata all’outfit, pronta ad intercettare l’obiettivo dei fotografi di street style.
E com’è andata invece? Che i miei programmi bellicosi si sono infranti contro un molto poco glamorous virus intestinale che ha colpito il mio secondogenito, trasformando casa mia in una specie di girone dantesco con, da un lato, Bibo con la diarrea e dall’altro, per la legge del contrappasso Olli distrutta dalla stitichezza. Per non farci mancare nulla, tosse e febbre per entrambi = nessuna speranza di poterli ricacciare all’asilo. Io, sana come un pesce, prigioniera in ostaggio.
Addio paillettes, lustrini e champagne. Altro che settimana della moda vissuta da spettatrice nullafacente…
Tommy Ton probabilmente mi avrà anche incrociata mentre correvo verso la farmacia all’angolo, ma ovviamente con il mio look da gym-casalinga (tipo Eva Longoria a spasso per Wisteria Lane, molto meno avvenente, però più alta) composto da felpa informe con cappuccio, leggings e vecchie AllStar, mi avrà trapassata con lo sguardo. In compenso ci ha pensato mio padre a farsi fotografare per strada per la sua giacca rossa di tweed. Alla tenera età di 72 anni. Vabbè, almeno uno della famiglia potrà sperare di uscire su Style.com o The Sartorialist.
Cosa mi sono persa, là fuori? 3 cose di sicuro: la festa di lancio della nuova attesissima rivista Porter, che sarà stato l’evento di punta della fashion week. Poi la scicchissima mostra di pezzi iconici dell’atelier di Ferragamo all’Accademia di Brera, dove avrei potuto finalmente stringere la mano all’adorata Leandra Medine, l’autrice dell’esilarante blog Man Repeller. E per finire, la sfilata di N°21.
A dire la verità avrei anche potuto mollare i due malati per qualche ora e uscirmene ma il senso di colpa, compagno fedele da quando Olli ha emesso il primo vagito, non mi ha permesso di mettere piede fuori dalla porta (perché gira che ti rigira noi madri siamo tutte uguali, facciamo tanto le emancipate, le “mamme-tigre” ma poi c’abbiamo quel grillo parlante perennemente sulla spalla, sempre pronto ad ammonirci “non ti starai divertendo troppo? non starai togliendo tempo ai tuoi poveri bambini tanto bisognosi delle tue cure?” anche se siamo uscite solo per farci la ceretta).
L’unico momento di edonismo che mi sono concessa è stato accettare l’invito della mia amica Stefi, che mi ha proposto di andare a cena al D’O, dove aveva prenotato un tavolo 6 mesi prima.
E così, davanti a un risotto e a un piatto di rognone ho dimenticato la mia contro-fashion week appena trascorsa.
pistacchio, bergamotto, matcha e riso in due forme |
rognone di vitello al vapore, acciughe e durone d’acqua |
crema bruciata di cardi, “Zephir” bianco, origano e tamarindo |
Coraggio! La prossima arriva subito. Quei piatti sembrano favolosi! Luc