La scrittura è femmina! ecco 3 romanzi potenti che ce lo confermano
La scrittura è femmina in questa – fortunata – selezione di libri che vi propongo in cui il caso ha voluto che fossero proprio le donne a raccontare quelle storie bellissime e così diverse tra di loro che mi hanno conquistata. E che, non ho dubbi, faranno altrettanto con voi.
A partire dall’amore, o meglio, da una formazione amorosa che ha i profumi del Sud della Francia – Françoise Sagan oblige – e la penna speciale di Sophie Fontanel, celeberrima giornalista di moda francese ma soprattutto autrice di pagine meravigliose come quelle raccolte nel suo ultimo romanzo, “Nobelle”, edito da Bompiani. Nei ricordi assolati della vincitrice del Premio Nobel per la poesia si delinea la scoperta non solo della vocazione precoce di lei bambina ma anche il primo contatto con l’altro, che ha le sembianze irriverenti di Magnus, figlio degli amici di famiglia che la ospitano con i suoi genitori a St. Paul de Vence. Un milieu letterario che conserva tutta la leggerezza di donne incuranti che passano le giornate a pittarsi le unghie e di mariti che, tra un pastis e un piatto di frites, ingannano le ore della canicola; e ancora una piscina circondata da cipressi nella casa di uno scrittore che forse ha perso o forse no l’ispirazione e che diventa il mentore speciale delle prime righe scritte da Annette. Sì, perché in questa estate francese fatta di turbamenti del cuore e delle lucine incantevoli del paese antico, c’è spazio anche per quello che sarà un destino squisitamente guidato dalle parole. Annette, che sarà una scrittòvaga e che del prodigio delle lettere scritte farà un mestiere, accoglie il tutto come una rivelazione mischiando la capacità di rabdomante del verbo con le fantasie da novella innamorata, le prime, scottanti delusioni amorose e una fiducia illimitata nel futuro che è poi uno degli attributi più belli dell’infanzia.
Conosco il mio crimine: ho usato l’amore per scrivere.
Un piacere di stile, di finezza, di emozioni che tocca il cuore; un romanzo che si legge nel tempo sospeso di un pomeriggio e di cui, più di tutto, si apprezza la delicatezza e il gioco leggero della scrittura della Fontanel.
Dalla Francia all’Italia, nel cuore della Toscana, in quella Volterra che Chiara Marchelli in “Madre Terra” (NN Editore) rivolta e riconsegna al lettore ricca di misteri e di miserie, di buchi neri e di veli squarciati su una realtà feroce, anomala ma dannatamente vera. Per farlo chiede aiuto al “suo” fidato Maurizio Nardi, luogotenente della cittadina già noto ai suoi lettori (ma attenzione, non è necessario aver letto i romanzi precedenti per accostarsi a quest’ultimo), che diventa suo malgrado il centro di una vicenda in cui razzismo e incomunicabilità spadroneggiano. Senza soluzione di continuità. Perché “spesso la verità è un filo trasparente che collega universi lontani. La verità può essere subdola. Inimmaginata”.
La narrazione segue una dinamica temporale mista concentrata sulla figura di Mirela, donna rom che si trasferisce in Italia in cerca di una vita migliore da offrire a sé stessa ma soprattutto al figlio Yanko. Ma sarà un salto nel buio. La comunità nella quale si inserisce non le perdona la diversità e nonostante il matrimonio con Mazzino Taddei, un buon uomo più agé di lei, non riuscirà a integrarsi. Nemmeno con la morte. Saranno le indagini condotte da Nardi e dal fidato Mileto a scoperchiare ancora una volta un sottobosco feroce di maldicenze e difficoltà, di fanatismi religiosi e rapporti complessi, in cui i cittadini, giovani e vecchi che siano, sono gli attori principali.
“Sa solo che una volta che hai perso tutto, non puoi che continuare a perdere. E che il male, quando entra, non esce più”.
Chiara Marchelli accompagna una vicenda dolente con la sua scrittura scarna e potente, che squarcia la normalità apparente con lampi di lucidità in cui sono gli uomini e le donne – ma anche i ragazzi – a emergere con tutte quelle complessità che la mano dell’autrice spinge verso il lettore, coinvolgendolo in prima persona. Rimane addosso il sapore della terra, la bruma che si insinua sottopelle, quel concentrato di indifferenza e di falsità che nemmeno la religione può sconfiggere.
Equilibri fragili che detonano quando si si trovano nel microcosmo di una coppia sulla quale la vita sembra già essersi accanita abbastanza. È quello che succede a Viola e Paolo, i protagonisti de “Le Distrazioni” di Federica De Paolis (edito da Harper Collins), genitori in crisi del piccolo Elia, la cui nascita, avvenuta grazie alla fecondazione assistita, è coincisa con un terribile incidente stradale che ha coinvolto la madre che, da quel momento, è diventata ancora più insicura e bisognosa di attenzioni. E distratta, suo malgrado. Succede che una mattina, al parco, Viola fraintende le intenzioni del marito – e viceversa- e il piccolo scompare. Che cos’è successo nel tempo di una lezione di yoga e di un ritorno agitato in ufficio di cui il passeggino abbandonato pare essere l’unico testimone? Mentre i genitori si muovono in una Roma che sembra amplificare la loro disperazione racchiudendola in uno spazio che non ha nulla della bellezza della città eterna ma risulta quasi squallido nel suo grigiore poco empatico, riaffiora un passato ingombrante che permette al lettore di dipanare le fila di vicende personali che affiorano in maniera prepotente anche nel presente.
“Sembra che le distrazioni abbiano il potere di rovesciare la vita”.
Un romanzo angosciante nella sua essenzialità, che rispetta le regole del thriller e al contempo esplora la complessità delle relazioni tra amore e famiglia; che mette in scena tutte le declinazioni del trauma e le intreccia con la ricerca della salvezza. Qualunque essa sia.
Testo di Ursula Beretta
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