La seconda occasione
Più i miei figli crescono e si fanno strada nel mondo più mi rendo conto di quanto io mi senta parte di ogni sfumatura della loro vita. I loro ostacoli sono i miei ostacoli, le loro delusioni sono le mie delusioni, i loro successi i miei successi. La mia partecipazione è tale e tanta che è come se attraverso di loro vivessi una seconda vita. Ieri Olli è tornata a casa con il primo voto della maestra ai suoi primi compiti a casa. Il voto era eccellente. Lei non ci ha neanche fatto caso, e va bene così. Io però segretamente gioivo, come se quel voto lo avessi preso io. Essere spettatrice privilegiata dei tuoi bambini che imparano, maturano, affrontano le difficoltà è la cosa più bella – e a volte più dolorosa – della maternità.
Kahlil Gibran dice saggiamente I vostri figli non sono figli vostri…sono i figli e le figlie della forza stessa della Vita. Ma lui forse non sa che se anche razionalmente un figlio è ‘altro’ da te, emotivamente è come se fosse un prolungamento di te. Se penso che mia madre ancora adesso non dorme la notte se sa che qualcosa turba me o mia sorella o mio fratello, ormai adulti e con famiglia…
Un figlio è una seconda chance che la vita ci offre: con loro possiamo non replicare un modello educativo che ci ha soffocati da bambini e che abbiamo subito, per applicarne magari uno che ci sembra più efficace. A un figlio possiamo offrire opportunità che non abbiamo avuto noi. Mandarli all’università, come ha fatto la mia amica Cinzia, che ha sempre avuto il cruccio di non essere riuscita a proseguire gli studi e oggi si ritrova una figlia in gamba a cui può dare l’opportunità di laurearsi. O come Chiara, blogger di Meglio un posto bello, che in questo post condivideva la gioia di essere a Londra con i suoi ragazzi e si rammaricava di non essere stata abbastanza intraprendente da andare all’estero a imparare l’inglese da adolescente. Ricordo che le lasciai un commento in cui in sostanza le ricordavo quanto per lei quella fosse una seconda opportunità: accompagnare i figli in una città straniera vivendo quella città anche attraverso i loro occhi. Un’occasione forse più entusiasmante di quella che lei aveva perso 20 anni prima.
Oppure come me, che sognavo di studiare danza classica ma vivevo in un paesino che di scuole di danza era sprovvisto. Poi finisco a Milano e metto al mondo una bambina che sogna di ballare: ho la possibilità di far studiare mia figlia nel tempio della danza classica, l’Accademia del Teatro alla Scala. Accompagnarla, aiutarla a infilarsi le scarpette, sbirciare dal buco della serratura sarà per me più emozionante che se alla sbarra dovessi andarci io. E se le sue aspirazioni, nel corso degli anni, cambieranno e Olli non diventerà Carla Fracci poco importa. La felicità sarà nell’aver assecondato la passione di mia figlia offrendole un’opportunità che a me è mancata.
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