Le assaggiatrici
Cosa vuoi fare nella vita? L’assaggiatrice di cibo per Adolf Hitler, naturalmente.
Questo, però, non è quello che ha in mente Rosa Sauer, giovane berlinese che, nel 1943, viene condotta con altre nove “ancelle” nel quartiere generale del Fuhrer a Gross-Partsch per assaggiare quotidianamente i piatti preparati per lui e scongiurare ogni possibile tentativo di avvelenamento.
“Le Assaggiatrici” (ed. Feltrinelli) è il romanzo che Rossella Postorino ha scritto dopo essere venuta a conoscenza dell’esistenza di un gruppo di giovani tedesche assoldate per un compito bizzarro e poco noto da cui ha ricavato un libro strano, intenso, estremamente denso e capace di ribaltare i piani prospettici, di lasciare sospeso ogni giudizio, di eliminare ogni distinzione tra bianco e nero, tra buoni e cattivi. Storia permettendo.
La trama è semplice. Siamo a Berlino, nel 1943: Rosa è sposata con Gregor ma, poco dopo le nozze, lui parte per il fronte e lei raggiunge i suoceri in campagna, vicino alla tana del Lupo, il covo segreto di Adolf Hitler, un posto sospeso e segreto. Qui l’apparente normalità della sua vita si intreccia con quella delle altre donne costrette a fare, come lei, le assaggiatrici che, giorno dopo giorno, cercano di ricreare una confortante quotidianità nell’assurda situazione nella quale devono vivere. Scorrono pagine e manicaretti serviti a orari cadenzati, le parole si intrecciano con il profumo del cibo: ci si cala nell’agghiacciante routine dei pasti preparati da cui già traspare l’assurdità dell’esistenza. Così l’atto del nutrirsi, che è l’atto per eccellenza della vita, diventa quello più rischioso: la vita è vita ma anche il suo esatto contrario, è morte. E questa dicotomia è esasperata continuamente dal racconto dettagliato dei cibi, così buoni e così ricchi, che sbeffeggiano la miseria della guerra, che attraggono come una fata morgana, danno nutrimento ma possono causare anche la fine.
Pagina dopo pagina si assiste alla lenta disgregazione del confine tra bene e male parallelamente all’umanità dei personaggi, che smettono di esistere, che non sono più donne o uomini, ma semplici comparse a servizio del Fuhrer, anonimi tubi digerenti, oggetti inanimati utili a un solo scopo. E anche l’amore diventa un accessorio privo di significato: la relazione di Rosa con Ziegler, un tenente dell’SS, è un gioco crudele, un silente massacro di sentimenti, una terribile presa di coscienza del fatto che oramai ci sia spazio solo per le declinazioni della paura, dell’odio, della falsa speranza e dell’attesa, il vero fil rouge che unisce la narrazione. Attesa dell’assaggio, attesa del ritorno, attesa di una ritrovata normalità, attesa di ricominciare a vivere in qualche modo, in un sentimento amplificato da una prosa elegante e magnetica.
“Le Assaggiatrici” è un romanzo che, in maniera lenta e inesorabile, scava nello stomaco del lettore una voragine in bilico sul confine fragilissimo che separa chi è colpevole da chi è innocente e da chi è complice. E torna alla domanda principale che affligge l’uomo dalla notte dei tempi: che cosa sei disposto a fare pur di sopravvivere? Le risposte, l’autrice, le cerca nella tragedia – cornice narrativa potentissima e autentica protagonista della narrazione – che ha segnato il secolo scorso, il nazismo.
“La capacità di sopravvivere donava la misura alla propria umanità ma più sopravvivevo meno mi sentivo umana”.
Recensione di Ursula Beretta
Discussion about this post