#MyMomsAboutTown: Mimma
Per il terzo capitolo di Le mie Moms About Town vi porto in Kuwait, dove incontreremo una giovane donna che ha fatto di un’esperienza complessa e non facile come quella dell’espatrio in un Paese culturalmente mooolto lontano dall’Italia, un’occasione di rinascita. L’intervista è lunghissima perché la persona in questione è un fiume in piena di chiacchiere e voglia di condividere, però scommetto che rimarrete incollati allo schermo fino alla fine.
1) Dopo tanti anni a Milano, dove lavoravi come legale per un gruppo bancario, in poche settimane ti sei ritrovata, con una bambina piccola, a Kuwait City per assecondare la scelta professionale di tuo marito. L’hai vissuta come un passo indietro o un’opportunità? o tutti e due?
Prima di tutto “assecondare” non è la parola giusta. Mio marito ha sempre vissuto all’estero. Per amore mio e del nostro progetto familiare è rientrato in Italia nel 2011, facendo un grandissimo passo indietro professionale in una situazione economica, quella italiana, non bella. Questo cambiamento lo ha fatto piombare nel pessimismo cosmico e io mi sono trovata a convivere con il Leopardi del terzo millennio e ho iniziato a pensare a cosa fosse più importante per me: stare in una città che amavo profondamente, in cui avevo tutto quello che avevo sempre sognato o dare una vera chance alla mia famiglia?
Sono una grande sostenitrice della forza del pensiero positivo, del bicchiere sempre mezzo pieno. Ho iniziato a immaginarmi di vivere all’estero. Ho comprato una bella stilografica nuova, sicura dell’arrivo di un nuovo contratto per mio marito. E così è stato. Sentivo che era anche il momento giusto per me di capire se “potevo fare altro”. Agli occhi di tutti è stato un passo indietro: “poverina”, ai miei: “alziamo l’asticella e mettiamoci in gioco di nuovo”.
2) Meglio Milano o Kuwait City?
Non ho potuto fare a meno di sorridere leggendo questa domanda. Arrivare a Kuwait City dopo venti anni a Milano è stato come approdare sulla luna. Tutto è completamente diverso. E’ stato un vero cultural shock. A partire dalle cose più banali come la settimana che inizia la domenica e finisce il giovedì o il calendario diverso: non esiste il Natale, la Pasqua. E poi le donne velate in abaya, gli uomini in dishdash e ciabatte; l’assenza di marciapiedi e di un centro dove andare a fare una passeggiata. Il cibo diverso. Fino ad arrivare alla cosa più importante: ritrovarti sola in mezzo al deserto. Non solo in senso fisico ma anche metaforico: nessun amico e una lingua, anzi due (l’Inglese e l’arabo) che ti mettono in difficoltà. Non poter alzare il telefono e chiamare la mamma perché c’è il fuso, perché costa troppo. Benedire Skype e pensare: speriamo che i miei amici trovino il tempo di chiamarmi. Con un marito che lavora tanto, passare tanto tempo da sola. Quindi le due città non sono paragonabili, la mia vita è stata stravolta.
Ma sai una cosa? Mi piace un sacco, amo rapportarmi con gente di tutto il mondo, scoprire cose nuove, essere riuscita a farmi degli amici. Vivere in un mondo tutto nuovo mi galvanizza. Kuwait con un figlio piccolo è stupenda: vita semplice ed easy, tanto tempo per stare fuori. Poi a Milano avrei lavorato full time, ostaggio di una tata (ricordo che quando mi disse “signora, a marzo vado via un mese nelle Filippine” non ho dormito la notte). Senza contare che qui non c’è crisi, tutto sembra possibile. E di questi tempi credo che il vero lusso sia svegliarsi ogni mattina sereni e non avere paura.
3) Come si è ambientata Giada in una cultura così diversa? e tu?
Giada era piccola, non aveva neanche un anno quando siamo arrivati in Kuwait. Qui ha imparato a camminare, segno che pure lei sapeva che qui era un nuovo inizio per tutti, anche per lei. Quando sono così piccoli è sicuramente tutto più semplice. Ma in generale se l’atteggiamento dei genitori è sereno non hanno nessun problema. Ricordo che una mia amica in Italia che si spaventava solo perché la nuova scuola della figlia era gestita dalle suore. Io ho spesso sorriso, pensando al grande cambiamento che abbiamo “imposto” a nostra figlia. Diciamo che il battesimo con le diversità ha avuto successo. Per i bambini ogni giorno è una sfida come per noi. Ora Giada frequenta una scuola inglese, quindi per ora l’impatto con la cultura araba è minimo, a parte le relazioni con i suoi compagni kuwaitiani e gli amici fuori dall’asilo. Le donne in abaya non la turbano, peraltro riceve costantemente attenzioni da loro perchè è bionda. In compenso assimila un po’ da tutte le culture, perché ne stiamo conoscendo tante. E sono felicissima che stia crescendo bilingue.
Per quanto mi riguarda il mondo arabo ha il suo indubbio fascino, un po’ come i profumi forti che accompagnano sempre il passaggio di donne e uomini. Il Kuwait non è così estremo. Certo occorre avere un certo decoro ma mi sento una donna piuttosto libera. Inoltre all’inizio facevo il giochino di non pensare che sarei rimasta per tanto tempo. Mi sono posta come se mi trovassi in Kuwait in vacanza. Ha funzionato. E poi ultimamente grazie al blog sto scoprendo una subcultura davvero interessante.
4) Come è stato entrare nel ruolo di mamma full time? hai faticato ad abituartici?
La trovo una bellissima opportunità, ma anche una sfida faticosa. Quello che sei scompare un po’. E’ come se ti sentissi in dovere di dare sempre di più a tua figlia e mettere da parte te stessa.
A volte vorrei tanto andare a lavorare per…riposarmi un po’, avere del tempo solo per me. la cosa più divertente è che hanno faticato più gli altri ad accettare questa mia scelta. Ho perso il conto delle volte in cui mi è stato chiesto “ma non ti annoi???”. E pensare che prima era normale fare la mamma full time, ora è quasi disdicevole. Sembra una scelta di comodo, senza considerare minimamente che le motivazioni che ti portano a fare questa scelta, spesso obbligata, sono le più svariate.
5) Ti sei buttata subito alla ricerca di un altro lavoro?
Appena arrivata sembravo un treno impazzito, ripetevo “devo cercarmi un lavoro, devo cercarmi un lavoro”. Ricordo che una mamma appena conosciuta qui, con una certa esperienza di vita da expat, mi consigliò di darmi almeno sei mesi prima di iniziare a cercarmi un’occupazione. Io invece mi sono messa a cercare lavoro e un corso di inglese serio ma mi sono subito imbattuta nella difficoltà di trovare una tata, che devi letteralmente “ordinare” su un catalogo tramite un’agenzia. Scegli guardando una foto e poi aspetti i due mesi necessari per fare le pratiche del visto: in questo paese si può entrare solo se hai già un contratto di lavoro, io stessa ho come sponsor mio marito. E poi sei obbligato a farla vivere in casa con te ma io non ero pronta ad accogliere un’estranea in casa, senza un minimo di referenze, per cui il progetto tata è tramontato presto. Allora mi sono detta: buttiamoci sui nidi! Ma qui accettano bambini solo dai due anni in su e comunque l’orario scolastico è per tutti dalle 7.15 alle 12. A quel punto ho pensato di iscrivermi almeno a un corso di inglese, ma quasi tutti sono dalle 18 alle 21. E il marito quando lo vedo? Il mio entusiasmo scemava così come la mia energia. Mi è venuta addosso tutta la stanchezza dell’anno passato: l’infortunio (la spalla destra lussata e due dita rotte della mano sinistra) avuto al nono mese di gravidanza, le cui conseguenze, oltre a rendermi i primi mesi di vita con una neonata più faticosi, si sono trascinate a lungo; una figlia non dormiente; lo stress emotivo del trasferimento. Con mio marito ci siamo detti che era il caso di prendersela con calma: imparare le regole di questo nuovo mondo, trovare la nostra routine e poi decidere. E così è stato.
6) E’ facile per una donna espatriata trovare un lavoro in Kuwait?
In generale sta diventando sempre più difficile per un espatriato trovare lavoro presso società kuwaitiane. Queste danno priorità ai locali, che hanno curriculum pazzeschi, avendo tutti l’università pagata e spesso anche l’accesso gratuito a ottimi campus in America. Ci vogliono skills altissimi, super specializzati per poter essere presi in considerazione. E per le donne i criteri di selezione sono anche più numerosi. Chiaramente è una società maschilista e i pochi ottimi posti non vengono certo dati facilmente a donne expat. Ho amiche che hanno rinunciato perché le offerte erano meno qualificanti dei loro lavori precedenti, senza contare le difficoltà di conciliare il lavoro con gli orari pessimi della scuola. Ecco, forse è più facile trovare buone possibilità professionali in società straniere. Discorso diverso per le donne inglesi, o con passaporto inglese: per il solo fatto di essere madrelingua, per esempio, vengono assunte nelle scuole internazionali, che in Kuwait sono ottime e numerose. In generale la donna expat si reinventa e in questo il Kuwait è generoso. Se hai un po’ di spirito imprenditoriale e di curiosità non è difficile creare il tuo business. C’è chi si costruisce un laboratorio di gioielli in casa, chi si propone al centro sportivo come insegnate di danza, oppure organizza corsi ludici; chi apre scuole di cucina, o diventa personal shopper.
7) E tu, hai abbandonato del tutto l’idea di cercarti un lavoro?
Io appartengo alla categoria di quelle che si sono rienventate. Con Drusilla, un’amica conosciuta qui, ho aperto il blog Mamme nel deserto. Nato come hobby, per raccontare questa esperienza e perché diversi amici ce lo chiedevano, alla fine è diventato il nostro lavoro. Espatriare è tornato “di moda” e, dal gran numero di lettori che abbiamo raggiunto, abbiamo capito che questa parte di mondo incuriosisce tanto. Il blog è diventato il nostro lasciapassare per essere invitate agli eventi e per costruire collaborazioni con magazine o progetti riguardanti la vita all’estero. Ora per esempio, sempre grazie al blog, una associazione kuwaitiana ci ha contattate per proporci di collaborare all’organizzazione di eventi locali. Insomma, chi l’avrebbe immaginato che sarei stata una “late starter” del mondo digitale? Qui, lontano da tutti, mi sono messa di nuovo in contatto con la mia parte più profonda e sto facendo quello che più mi piace fare: scrivere e comunicare. Ringrazierò sempre mio marito di avermi dato la spinta decisiva a provarci.
8) C’è qualcosa in cui tuo marito è più bravo di te nell’educare/crescere Giada?
Mio marito è bravissimo a giocarci e a farla ridere. Io invece, nota a tutti come una specie di Candy Candy, ho scoperto di essere un bravissimo poliziotto cattivo.
9) Ti scoccia oppure ci ridi su?
Adoro il loro rapporto. E se posso ne approfitto, come durante l’ultima vacanza: li lasciavo giocare insieme per leggere almeno due paginette di libro. A volte mi pesa essere ferma, dare le regole ma insomma, qualcuno il lavoro sporco deve farlo, no??
10) C’è qualcosa della maternità che ti fa sentire inadeguata?
Come ti dicevo all’inizio il fatto di essermi ritrovata a fare la mamma a tempo pieno mi faceva sentire in dovere di fare questo “lavoro” nel miglior modo possibile. Mi sono messa a leggere un sacco di saggi, interpretavo e analizzavo tutto. Insomma ero in preda all’ansia da prestazione. Poi ho deciso di smettere di leggere, di guardare mia figlia, seguire il mio istinto e da allora è iniziato il vero divertimento. Senza contare che mia figlia era anche cresciuta, quindi per certi versi tutto è stato più facile. Da quando ho allentato la guardia spesso mi becco un “mamma pasticciona” ma va benissimo così.
11) Cosa ti ha insegnato la maternità finora?
I miei limiti, alcune mie potenzialità. Il piacere di ridere un sacco con una trenne.
12) Ti senti più bella e femminile ora o quando non avevi ancora figli?
Dipende. Come sempre nella mia vita, non essendo nata figa come Gisele, il sentirmi bella è condizionato da tanti fattori, non dipendenti da Giada. Certo se dormissi un pò di più avrei più energie per la palestra e starei anche più attenta alla dieta. L’anno scorso che era l’anno dei quaranta ho attraversato un gran momento di “consapevolezza”. Il tempo passa, per ora è abbastanza clemente ma io i segni li vedo. Senza contare che vivere qui, dove vige l’uniforme shorts e infradito, niente trucco, se da un lato mi regala una bellissima sensazione di libertà, dall’altro mi fa sentire out quando leggo Vanity Fair o torno in Italia. Ho perso il gusto di vestirmi bene, di farmi carina.
In Italia spesso vorrei fermare la gente e dire “come sei vestito bene”. Durante un week end a Capri avrei fatto l’applauso a un sacco di persone che mi passavano davanti.
13) Cosa ti piace fare con tua figlia?
Ultimamente mi piace farla parlare. Ascoltare le sue storie. In generale amo osservarla, mentre canta tutto il giorno, mentre gioca da sola e parla in inglese. E’ come se entrassi in un mondo nuovo e meraviglioso. Devo solo stare attenta a non ridere troppo. Siamo nella fase in cui non capisce che ridi per le cose che dice e non di lei e mi sgrida: “mamma, it’s not funny!”
14) Cosa invece odi fare (ma che a lei piace tanto)?
Di sicuro non sono una mamma art attack. Il puro intrattenimento mi annoia. La mia percezione del tempo è dilatata: mezz’ora nelle sua cameretta a incollare o decorare con lei mi paiono ore. Mi piace di più quando facciamo giochi un po’ educativi: i numeri, le forme, leggere. Trasformare il gioco in apprendimento.
15) Riesci a ricavarti del tempo tutto per te?
Evviva la scuola. Diamo un premio alle sante maestre?? Ha solo un difetto, dura pochissimo. Quindi le mie attività sono tutte concentrate lì, in quelle tre ore scarse al mattino. Prima avevo pure il sonnellino pomeridiano. Ora ahimè non più. Vorrei uscire un po’ di più alla sera. Ma spesso arrivo distrutta, con la levataccia alle 6. Poi ho amiche fantastiche qui, che però non amano uscire la sera. Inoltre mica puoi farti un happy hour?? E mangiare senza bere è anche meno divertente.
16) Cosa fai? dove vai?
Tra il blog, i vari progetti, tra cui quello di creare un’associazione per le donne espatriate qui, le mille attività che ci siamo inventate, mi tocca stare spesso seduta davanti al pc o andare di corsa a incontrare tizio o caio. Insomma tutto molto diverso dall’immaginario che si ha della vita della donna expat, fatta di piscina, spa, personal trainer e shopping. Senza contare che qui ho ripreso a cucinare e quindi devo trovare comunque il tempo per fare la spesa e preparare i pasti.
17) Cosa ti piace di Kuwait City, per quanto riguarda la vita con i figli?
Il Kuwait è stata una rivelazione. Prima di tutto adoro che si sta tanto fuori all’aria aperta, passiamo almeno sette mesi tra piscine e giochi in spiaggia. Adoro i play date. Qui trovi sempre qualcuno con cui vederti e non è necessario prendere appuntamenti.
Ma sopratutto il Kuwait è un paese kids-friendly. E’ normale uscire a cena o a pranzo coi bambini. Tutti i ristoranti sono attrezzati con baby chair, menù dedicati, gadget e tanti hanno pure la stanza per farli giocare. Senza contare che nessuno si scandalizza se sporcano un po’. Più volte mi è capitato che il personale del ristorante si offrisse di intrattenere Giada per farci mangiare tranquilli. Poi ci sono ottime scuole. Un sacco di attività extra-scolastiche. Volendo immensi parchi giochi. Giada ancora parla della gita a Kidzania, la città dei bambini.
18) E senza figli?
In assoluto il confronto con donne di tutto il mondo. Cerco di crerami occasioni di incontro. Poi adoro il mondo delle donne expat: chi decide di venire in questi posti ha quel “non so che” che mi affascina. Spesso sono state anche in posti più estremi. Ho sempre qualcosa da imparare. Nel blog ne parlo tanto. Reinventarsi e adattarsi è la parola magica. Poi per me che sono priva del gene “imparare l’inglese” trovarmi seduta con loro, sostenere una conversazione, ridere e aiutarsi è una grande conquista.
19) Un posto che ami particolarmente di questa città (un negozio, un ristorante, un quartiere, una strada)?
Amo la zona del Marina Crescent: un piccolo porticciolo con tanti bar e ristoranti. Adoro prendere un caffè da Pain Quotidien e perdermi nella vista del mare. Adoro mangiare da Zatar i loro buonissimi wrap. Ma in assoluto adoro casa mia. Svegliarmi presto, sedermi nella mia sala dove ho la fortuna di avere una bellissima vista e vivere in solitudine il sorgere del sole con un caffè italiano!
20) Ogni tanto ti manca la tua vita prima dell’arrivo di Giada, quando la figlia eri tu?
Non mi manca essere solo figlia. La mia famiglia per questo è fantastica: sono figlia e sorella sempre. Certo ora tutte le attenzioni sono per Giada ma loro per me ci sono sempre. E per me questo costituisce una grande certezza e sicurezza. L’altra sera poi, mia figlia crolla miracolosamente alle 19.30 e io mi imbatto per caso nella settima serie di Grey’s Anatomy che non vedo da prima che lei nascesse. Ho riassaporato un piacere passato: in solitudine mi sono guardata la mia serie preferita e ho provato nostalgia per la ME che non c’è più. E spesso sono sommersa dalla nostalgia quando sento i miei amici milanesi che si ritrovano, che escono insieme. Sento la nostalgia non del mio essere figlia ma di Mimma a Milano. Sogno spesso l’ufficio. E’ normale. Però se mi proponessero di tornare a vivere a Milano ora, sarei in difficoltà. Sono preda della malattia che io chiamo “vita da expat”. Vorrei fare ancora esperienze di vita all’estero.
21) Qual è il tuo mantra?
E’ “la cambio io la vita che non ce la fa a cambiare me”, una frase tratta da una vecchia canzone di Patty Pravo. Ultimamente però ne ho anche un altro: “push your luck”.
Gli anglosassoni, meglio di noi (di me sicuramente), hanno il dono delle sintesi, del messaggio diretto e chiaro.
Quindi rompiano un po’ le scatole a questa fortuna, senza chiedere troppo ma senza neanche stare troppo ad aspettare. Andiamocela a cercare. E anche quando non la vediamo, inventiamocela all’interno della situazione che viviamo.
Come sempre ci vuole impegno, ma un po’ di audacia non guasta.
Bellissima intervista e bellissimo blog!
Grazie, che gentile che sei!
Grazie per avermi dato qs spazio. E' stato bello farsi una chiacchierata con te!
Mimma, è sempre bello parlare con te e sono orgogliosa di presentarti ai miei lettori…pochi o tanti che siano.
bellissima intervista Mimma! brava! push your luck
Non conoscevo il blog, ma conosco bene, anche se solo virtualmente, le "Mamme nel deserto". Intervista molto bella!
Mimma, che bella persona che sei. La tua positività è un vero dono, che cerco ultimamente di coltivare, ci riuscirò???
Moky ce la farai sicuramente a coltivare un pò di positività. Se proprio proprio sei in crisi chiama Mimma e ci pensa lei…Un abbraccio
Certo cara Moky…tutti abbiamo i ns momenti no, siamo umani. Ma tu sei dolcissima e ce la farai. Grazie mille!
Bellissima intervista amica e collega Mimma!<br />Emme, le tue domande stupende!
Amica senza di te tutto qs non sarebbe successo. Di questo sono sicura . Kuwait mi ha fatto un regalo bellissimo . Sei la mia metà della mela . Collega , amica e socia … Ho sempre sognato di fare certe cose ma con te e' diventato facile, mi ha capita e hai creduto nelle mie idee. Non lo dimenticherò mai. W le donne e le amiche
Grazie, Drusilla! Mimma era preoccupatissima del risultato e invece….
diciamo che non mi sono risparmiata….non ho dato certo risposte politically correct, ma ho fatto cercato di trasmettere tutte le mie emozioni. E se sono arrivate sono felice. un bacione Emme
Bella intervista ed avevi ragione…letta tutta d'un fiato!
Intervista molto bella e si sono rimasta incollata fino alla fine nonna Stefy
Bellissima intervista. Domande interessanti e risposte dettagliate. Sei una donna in gamba Mimma, oltre ad essere bella, come lo è tua figlia Giada.<br />Mi rivedo in tante cose e farò mia la frase "push your luck". Stupenda!!
Eva….grazie…per me è un complimento quando dici che ti rivedi. Pensa che è una foto scattata così. molto vera, io con la mia divisa di jeans e maglietta, poco o quasi zero trucco e la mia bella giada con l'uniforme. E si push your luck….è perfetta e tu lo stai già facendo!
Ogni volta che leggo le tue parole Mimma, come quelle di Drusilla, giuro che mi viene voglia di fare le valigie e partire.<br />Fai sembrare tutto semplice, lasci solo intuire tutte le difficoltà che stanno dietro una scelta come la vostra e da questo si capisce quanto tu sia una donna forte!<br />Tu e la tua bimba siete bellissime!!<br />Complimenti per tutto!
No, non è semplice, come tante situazioni che ci troviamo ad affrontare. Per me la cosa più difficile resta aver lasciato il lavoro e aver messo la mia vita nelle mani di mio marito, questa dipendenza mi spaventava tanto. Ecco perchè poi ho fatto il possibile per rienventarmi.