Life is bigger, it’s bigger than you

Lei era la sportivona, io quella un po’ soliaria che suonava il pianoforte. Lei era quella che aveva già avuto un fidanzato vero e io quella single da sempre. Lei era quella brava in chimica che per salvare me – negata nelle materie scientifiche – da un’interrogazione disastrosa con la temutissima professoressa Crema, inforcava il motorino, si sparava 13 chilometri e veniva a darmi una mano con le formule e i composti. Lei dall’aspetto teutonico, io più mediterraneo. Simili nell’approccio gioioso e naïf con la vita, complementari nelle sfumature del carattere. Ci siamo scoperte a 15 anni, perché eravamo in classe insieme in quella scuola di provincia, e da quel momento in poi abbiamo attraversato, praticamente per mano, gli anni difficili ed esaltanti del liceo. Non ho un solo ricordo, non c’è un solo evento memorabile della mia adolescenza che non abbia dentro lei: i primi viaggi in macchina, fresche di patente, sulla sua 127 sport o sulla 126 bianca che mio nonno mi aveva lasciato per fare pratica; la mitica gita scolastica dell’ultimo anno in montagna a sciare; la maturità e poi l’estate memorabile che ne è seguita, alle Tremiti, con l’università da cominciare e il mondo in mano, mentre in sottofondo costante c’era Losing my religion dei R.E.M. E poi i mille bigliettini scambiati durante le ore noiose di filosofia, che ancora conservo in un cassetto della mia camera a casa dei miei: la sua grafia tonda e regolare che si alternava alla mia piccola e allungata.

Lei andò a studiare a Padova. Scienze biologiche, ovviamente. Io lettere classiche a Milano. Gli incontri si diradavano ma ci tenevano unite le lunghe chiacchierate col telefono, quello fisso, ché i cellulari esistevano a stento. Ci si trovava a Natale e poi in estate, quando si tornava a casa per le vacanze. Poi la sua laurea, la mia, il suo incontro con l’uomo con cui sta ancora oggi. Il matrimonio, al quale le feci da testimone e, subito dopo, la nascita della sua prima figlia. Da quel momento in poi le telefonate divennero rarissime. Smettemmo di incontrarci. La vita aveva preso il sopravvento: lei aveva una famiglia, io ero ancora uccel di bosco. A neanche 30 anni lei aveva già messo radici, aveva già messo a fuoco quello che voleva davvero e ci si stava dedicando, io ancora no. Il suo mondo ora mi sembrava così lontano dal mio, fatto di lavoro, viaggi e uomini con cui non avevo molta voglia di fare scelte definitive. Lei era ormai quella matura, stabile, apparentemente lontana anni luce dalla persona con cui avevo condiviso scorribande spensierate.

Ci siamo perse di vista senza neanche farci troppo caso. Dimenticate, no: quello sarebbe stato impossibile, potrei dirlo con certezza anche per lei. Ognuna di noi aveva contribuito a rendere certi passaggi della vita dell’altra indimenticabili.

Qualche settimana fa vedo che sull’account Instagram del blog – l’unico che ho – inizia a seguirmi una certa Marta. C’è il suo cognome ma non la foto del profilo. Mi chiedo se sia lei e ne ho la certezza dai commenti che inizia a fare alle mie foto. Era lei.

Era Marta. E’ Marta, la mia migliore amica del liceo, che oggi ha due figlie adolescenti, i cui volti mi riportano a come era lei alla loro età. Commovente, non mi viene in mente un’altra parola per descrivere questo nostro ritrovarci. Ho due figli anch’io, ho fatto il suo percorso molto dopo di lei ma l’ho fatto e questo ci ha riavvicinate. Allontanarci era stato semplicemente inevitabile, come inevitabile è stato riavvicinarsi. Non ci siamo ancora viste ma ci siamo ripromesse di farlo presto. A Milano, dove Marta verrà a fare shopping da teen-ager con la sua primogenita. E io non vedo l’ora di riabbracciarla e di avere dritte su come sopravvivere con grazia a figli adolescenti. Meglio prepararsi per tempo.

Oh life is bigger, it’s bigger than you

 

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