Nel silenzio delle nostre parole

La letteratura è giocare con la finzione, più spesso è una forma di realtà travestita, per fantasia, per pudore, anche per dolore: ci sono degli scrittori che sono capaci di fare questo con le parole, le piantano nella pelle di chi legge, senza lasciare scampo e rendono i loro racconti pagine strappate dal reale.

Così, una volta chiuso il libro, il pensiero rimane incastrato in una dimensione incerta sulla direzione da seguire: è pura invenzione o mi è passato davvero sotto gli occhi?

Simona Sparaco ha questo potere e lo dimostra ancora una volta in “Nel silenzio delle nostre parole”, edito da DeA Planeta, che, prendendo spunto dal drammatico incendio della Grenfell Tower di Londra nel 2017, mette in scena un rogo analogo ma di un palazzo a Berlino nel quale sono bloccate le vite di diversi personaggi.

Una storia a più voci, un racconto ad incastri i cui protagonisti sono l’umanità tout court, le parole sospese e lasciate aleggiare come una promessa, a volte simili a un rimpianto, talvolta chiuse nel terrore e nel pudore di poterle portare a scontrarsi con qualcosa di più grande di loro. E ci sono le famiglie, i rapporti, l’amore. C’è tutto racchiuso in un edificio che sta per prendere fuoco ma prima che questo avvenga c’è spazio per la vita, da costruire, da accudire, per la vita appena nata, per quella da confessare con le lacrime agli occhi, per un’esistenza nella quale mettere ordine. E la bravura della Sparaco sta proprio nel gestire questo teatro drammatico, intrecciando i tempi della narrazione e creando una tela avvolgente con un crescendo di sensazioni che hanno già scritto il loro epilogo.

Tutto ha una spiegazione, lo capiremo poi, ma nel mentre dobbiamo accettare anche l’incomprensibile

Prima che divampino le fiamme, il romanzo ci accompagna dentro le emozioni e i sentimenti quotidiani degli inquilini del palazzo: dall’insofferenza della giovane Polina, mamma suo malgrado, che ha rinunciato al sogno di essere ballerina professionista, alle inquietudini di Alice, innamorata di Mathias ma incapace di condividere la sua felicità e le sue speranze con la madre rimasta in Italia. Lo stesso rapporto irrisolto che lega Bastien alla figura materna di Naima, imprigionata nella sua sedia a rotelle e in un presente che non riesce ad accettare, e Hulya, pronta a sfidare le tradizioni di famiglia e i pregiudizi radicati nella società a colpi di filmati amatoriali e di una passione latente destinata a emergere.

Un percorso ad ostacoli la cui fine è nota che porterà ognuno dei personaggi a trovarsi in bilico tra la vita e la morte, tra pensieri e pentimenti, tra epifanie e riflessioni. E permetterà al dolore di avere, nonostante tutto, un potere salvifico.

Mi piacerebbe che anche tu fossi in grado di guardare ai vuoti della vita come a noi ha insegnato zia Amira. Non solo come qualcosa che manca. Cerca piuttosto in quei vuoti la tua opportunità di esistere ancora, e in maniera diversa

Zia Amira mi ha insegnato che non c’è morte che non presupponga una rinascita. Imparare a decifrarla può dare un senso a tutto ciò che resta. Persino alla cenere

 

Testo di Ursula Beretta

 

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