Nessuna parola dice di noi
Ada e Claudia, Alessio e Nicolas, Francesca e Marika: una manciata di nomi che si muovono lungo coordinate geografiche precise – Milano, Arona, Seattle – per costruire la storia di un’afasia sentimentale destinata, poco per volta, a essere fatta fuori.
“Nessuna parola dice di noi” di Gaia Manzini (edito da Bompiani) è un romanzo complesso che impone di essere letto d’un fiato non solo per l’urgenza dei protagonisti che si muovono tra le righe come se dovessero balzarne fuori ma per risolvere quei nodi complessi che, parte dell’esistenza stessa, creano una prospettiva nuova che deve essere svelata.
A partire dalle parole.
C’è la vita di una giovane donna, Ada, che, però, con le parole ci sa fare tanto da averci costruito il suo lavoro di copywriter in un’agenzia milanese; sono parole pesanti e spesso dolorose, quelle da lei usate per nascondere un malessere che la avvelena sottilmente e al quale sembra sempre volere soccombere. Quelle parole che invece non ha per la figlia Claudia, frutto di una gravidanza imprevista quando non era ancora maggiorenne, cresciuta dai nonni nella casa sul lago Maggiore e per la quale lei non riesce ad avere nessuno slancio, divisa com’è tra sensi di colpa e inadeguatezza.
Poi ci sono le parole per Alessio, il suo art director, un ragazzo esuberante e fascinoso, ma indiscutibilmente attratto dagli uomini, di cui Ada si innamora dando vita a un legame ambiguo in cui l’amicizia è sporcata dall’attrazione, dove la speranza di una nuova vita si scontra inevitabilmente con un fallimento a priori.
Poi ci sono le città. Milano, con la bella vita dei creativi, che annaffiano le ore chiusi in agenzia con serate alcoliche e week end stonati che sfilacciano certezze e relazioni. C’è Arona, con quella madre che, pur avendo deciso di accudire la nipote non perde occasione per lamentare la latitanza della figlia dalla vita della piccola; Arona con il suo specchio d’acqua e le montagne intorno, promessa di un camminare capace di dare conforto nella misura in cui la fatica può diventare la ricompensa per dubbi rapaci e mai sciolti. E infine c’è Seattle, in cui Ada arriva con Alessio per una gara pubblicitaria che sarà complice in un rapporto in cui responsabilità e sentimenti metteranno la ragazza contro un muro, costringendola finalmente a crescere. E non solo a parole.
Alessio e io non eravamo solo colleghi, solo amanti, solo amici, solo inseparabili. Eravamo tutto e forse non eravamo niente. Ho stretto gli occhi in una smorfia di dolore. Nessuna parola dice di noi, ho sussurrato. Saper nominare la realtà per vivere con più sicurezza, senza paura: non ero mai stata capace. Nessuna parola dice di me, avrei voluto aggiungere.
Sarebbe riduttivo fare di questo libro un romanzo sulla maternità, sull’accettazione e sull’affrancamento dall’essere figlia: “Nessuna parola dice di noi” è un racconto potente che fa perno sugli spigoli della vita per rappresentare l’amore, nel senso più pieno del termine, e la difficoltà di trovare un posto nel mondo in cui quell’amore abbia la sua ragione d’essere. Perché non è vero che parole possono tutto, al contrario, quando non si trova il termine adatto rappresentano un ostacolo con il quale, prima o poi, è necessario fare i conti.
Testo di Ursula Beretta
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