Più in alto del giorno
“Gli adolescenti si muovono a proprio agio solo tra le passioni più eccessive. La vita, per piacergli, deve assumere i colori più violenti” (Irene Némirovsky-La Nemica).
Mimì ha 13 anni, non è più una bambina ma non è nemmeno un’adolescente: è una sorta di terra di mezzo, come quella del Piccolo Paese, avvolto tra terra e mare, nel quale si trasferisce con i genitori in un’estate che sembra una vacanza ma che è invece il preludio di una nuova vita. Una vita che ha le parole delicate e intense di Valentina Orengo nel suo “Più in alto del giorno”, edito da Garzanti.
Sono giorni pigri e solitari quelli di una ragazzina che passa il tempo a leggere distesa sul tronco mozzato di un ulivo, coltivando la noia e la speranza che succeda qualcosa, che la ragione per la quale sua madre e suo padre sono tanto diversi dalla loro dimensione urbana le divenga chiara, che quel senso di estraniamento da tutto e da tutti che le fa scivolare addosso le cose possa scomparire o mutarsi in qualcosa di autentico, di sanguigno, capace di scuoterla e di farla sentire viva. Una cosa che ha l’energia di Alfred, un ragazzo “comparso così all’improvviso (…) Ricordo come se fosse adesso la sensazione allegra della timidezza quando si scioglie, la paura che lascia il posto alla voglia di ridere per la prima cosa che hai a portata di mano, che forse, poi, è il modo in cui si diventa amici da ragazzini”.
La musica – termine perfetto giacché la madre di Mimì è una pianista – cambia: comincia la scuola, nasce un nuovo gruppo di amici, il Piccolo Paese smette di essere un ripiego temporaneo e si colora delle sfumature di una vita in erba, ricca di aspettative, di una natura che aspetta di essere esplorata, di adulti che nascondono storie chiacchierate e desiderose di essere svelate. E di un segreto. Talmente bello, talmente terribile e forte e nuovo da sconvolgere ogni certezza ma perfetto per accompagnare il passaggio a una dimensione più matura dell’esistenza. In maniera traumatica, forse, ma i cambiamenti non sono sempre difficili? Perché per crescere bisogna cadere, anche, ed è necessario passare tra le incomprensioni degli adulti, barattare i sogni infantili con altri dalle conseguenze non sempre certe, scontrarsi con emozioni irreparabili. E rialzarsi. Sapendo, però, che poi tutto sarà diverso e altrettanto ricco di fascino.
“Era tutto assurdo, un momento sospeso, un pezzo di vita solo mio, solo nostro, intriso di felicità cristallina. Per la prima volta ebbi la certezza che sarei diventata adulta anche io”.
Più in alto del giorno ha un ritmo dolce e lento che, pagina dopo pagina, come accompagnando il crescendo delle emozioni di Mimì, arriva a tendersi, ad aumentare, a raggiungere la tensione ballerina tipica di quegli istanti della vita pre-adolescenziale che sembrano sempre sospesi. È così che si cresce, tra il bisogno di indipendenza e le lusinghe delle bugie, tra la voglia di allontanarsi dalla famiglia e la necessità di tornare a una tana sicura, in un racconto privo di cliché, ma realistico e vivo. Come quello di Valentina Orengo, dallo stile emotivamente coinvolgente, che affronta tematiche importanti e attuali ma usando una delicatezza nobile, come sfiorandole, per spingere chi legge a fare le proprie riflessioni, magari lasciandosi guidare dal ricordo del ragazzino che è stato, dal suo istinto bambino, dai suoi occhi spalancati su un mondo che è, e deve essere, sempre pieno di attrattive e non finire mai di stupire.
“Ma dentro di me, più di ogni altra cosa, di quel periodo ho conservato una grossa cicatrice. Di quelle su cui passi le dita ogni tanto per richiamare alla memoria il momento preciso in cui c’è stata la ferita. Quelle che ogni tanto tirano per farsi ricordare. È parte di me”.
Testo di Ursula Beretta
Discussion about this post