Planimetria di una famiglia felice
Se mi chiedessero che libro regaleresti alla tua migliore amica, al tuo fidanzato, a tua mamma, a una persona che ami, a..? io non avrei alcun dubbio.
Planimetria di una famiglia felice, di Lia Piano – edito da Bompiani.
Un romanzo che ti mette in pace con il mondo, che contiene la magia delle storie che vorresti non finissero mai – e che proprio non finisce mai. Perché una volta terminato, hai solo voglia di ricominciarlo, di chiamare l’autrice e di pregarla di continuare a scrivere, di accompagnarti ancora in quell’universo fantastico che ha tratteggiato con il cuore e con una mano santa, in una maniera talmente intensa che ridi e piangi e pensi e sogni e dici anche io, sono stata bambina anche io.
Si, perché il libro di Lia Piano è proprio il canto spassionato di una bambina, la nana, e della ricerca della normalità della sua famiglia, tanto bizzarra quanto reale, raccontata da un metro e mezzo di altezza, attraverso le stanze e il giardino della casa di Genova, cornice e silente protagonista del romanzo, in cui la famiglia si trasferisce per dare una facciata tradizionale alla sua ansia di libertà.
“La notte la casa era percorsa da risate e bisbigli, passetti e oggetti trascinati senza senso da una stanza all’altra. Eravamo una famiglia insonne e perdutamente felice”
Quella famiglia perdutamente felice che disegna il suo universo gioioso e magico nelle stanze immense e piene di vento della casa dalle quattro palme, ha un unico mantra, la libertà, ricordato dai cartelli appesi sulle porte delle stanze “Vietato vietare”, non conosce limiti di sorta e usa il salotto come personale planetario per vedere le stelle, e costruisce uno scaffale lungo 307 metri perché i libri, che erano stati un tempo alberi, “dove li posavi mettevano radici. Se c’erano i libri significava che quella era casa. Finalmente ci eravamo fermati”.
Una famiglia rumorosa e piena di vita, di bambini, di cani, di pulcini portati al collo come neonati e di galline che colonizzano ogni piano; una famiglia avvolta dal profumo di tuberose, di seminterrati che nascondono navi in costruzioni ed esperimenti di chimica, di piani alti che risuonano di tacchi materni e del ritmo del metronomo con cui combattere la balbuzie del fratello di mezzo. Una famiglia in cui gli animali indossano tulle e crinoline e dove l’istitutrice, Concepita Maria, è una donna calabrese completamente analfabeta, che educa i bambini a colpi di sberle e di lanci di zoccoli, ma che ha i “lineamenti che portano fortuna” e tanto basta.
Un libro che non è un’autobiografia, anche se la tentazione di sovrapporre un racconto personale c’è- ma, come ricorda l’autrice, l’unico personaggio reale è proprio la casa di Genova – ma è la storia spassionata di un’educazione non convenzionale, un’avventura libera e fantasiosa e terribilmente spassosa.
Ogni capitolo di “Planimetria di una famiglia felice” si legge come un racconto a sè e, come tale, contiene la gioia delle piccole cose, la magia della scoperta nata dalla semplicità – esattamente come avviene quando si è bambini -, la presenza di personaggi unici e tratteggiati con una scrittura cesellata all’estremo, che rende omaggio alla penna di Italo Calvino e ne esalta il senso del meraviglioso.
Un libro che ha tutto il sapore di un’infanzia tenera e stralunata, bizzarra e preziosa, in cui tutto è possibile, tutto è terribilmente gioioso e libero e, soprattutto, felice: perchè l’impresa eccezionale, dammi retta, è essere normali.
(Ho amato tantissimo questo romanzo e chiedo venia per la recensione spassionata: vi consiglio di leggerlo, di viverlo…e mi capirete perfettamente!)
Testo di Ursula Beretta
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