Quando arrivi, chiama

Cosa fareste sapendo che una persona più che cara, vostro figlio per esempio, fosse rimasta vittima di un attentato, bloccata in balia di terroristi senza potervi parlare e dire che sì, va tutto bene, non preoccuparti?

Io, ma penso anche voi, mi precipiterei immediatamente sul posto, esattamente come fa Silvia, protagonista di “Quando arrivi, chiama” di Anna Mittone, edito da Mondadori.

Un lavoro appagante, un rapporto civile con l’ex marito, una figlia adolescente, Emma, che si prepara a passare un anno di studio in Canada, Silvia racconta che cosa voglia dire essere una madre in una quotidianità da costruire giorno per giorno schivando le bizze di una ragazza che sta diventando donna, e di essere donna stentando a riconoscersi nei ruoli che le sono stati assegnati fino a quel momento e rimpiangendo, forse, quella ragazza che è stata.

“…e mi sembra di stringere la vita tutta intera nel palmo della mano insieme a questo bicchiere, quaranta e più anni condensati come nel verso di una canzone di Sanremo, dove la vita sta tutta in un pomeriggio di pioggia, una nottata insonne, una giornata amara e anche la mia adesso è qui, intera, ineffabile eppure reale.”

È una normalità che avvolge e che fa credere che tutto possa sempre rimanere uguale, come nella mattina della partenza di Emma, scandita da riti e musi lunghi, intervallata da silenti inventari di borse e valigie, seguendo un countdown che si conclude in aeroporto e che dilata il più possibile il momento dei saluti.

Una normalità che ha il sapore di quell’umanità frastagliata che comincia a mostrare i suoi buchi neri e le sue disillusioni con un’ironia che si fa dubbio e che trasporta il lettore in un vortice di interrogativi quando Emma, la fragile e forte Emma, ribelle, lunatica, rabbiosa e divertente Emma, si ritrova vittima di un attentato terroristico a Parigi, città in cui il suo aereo ha fatto scalo e dove la madre decide di raggiungerla per affrontare una realtà che pare non lasciarle scampo.

È l’imprevedibile che cambia ogni cosa, che in un secondo trasforma l’idea di Silvia di poter approfittare della lontananza della figlia per dedicarsi un po’ a sé stessa in un incubo scandito da pensieri e da ricordi che si susseguono alla ricerca di un senso al quale ancorarsi, disegnando un passato in cui, aciò che è stato, si sovrappone l’incertezza di quello che sarebbe potuto essere ma non è.

Non ancora o non più?

“La vita procede per imprevisti.
E, tra un imprevisto e l’altro, ci sono tutti quei minuti lunghissimi in cui assorbiamo il colpo e le ore e i giorni che impieghiamo per far fronte, arginare, razionalizzare, porre rimedio o farci una ragione e poi ancora le settimane, i mesi, se siamo fortunati gli anni, in cui non succede niente, ma intanto silenziosamente ci prepariamo a qualcosa che, quando arriverà, ci coglierà comunque impreparati”.

Un viaggio mentale parallelo al viaggio reale che conduce Silvia verso la capitale francese in compagnia di Michele, sconosciuto e affascinante padre di un compagno della figlia, in cui si mischiano parole, silenzi, immagini di una famiglia messa a nudo, dove risaltano le persone nuove che arrivano nei momenti peggiori e che diventano, però, quasi salvifiche nel momento della tragedia.

Perché fragilità è la parola chiave di una vita, quella umana, in cui l’unica strada da seguire, forse, è quella dei sentimenti: dalla fragilità insofferente di Silvia, divisa tra essere madre ed essere donna, che mina le sue sicurezze e le fa mettere in dubbio ogni aspetto di ogni suo singolo ruolo, a quella di una ragazza insicura, Emma, apparentemente dura, intimamente piccola e innocente, fino ad arrivare alla fragilità umana, che accomuna tutti con il senso -democratico?- di impotenza e di incapacità nel far fronte a situazioni così grandi e così tremendamente paralizzanti. 

L’amore, le incomprensioni, la complicità del rapporto madre-figlia, l’imperfezione di una donna, le incognite degli uomini: “Quando arrivi, chiama” scorre seguendo il ritmo dei sentimenti, non lesinando ironia e dividendosi tra sorrisi sguaiati e timori condivisibili, seguendo l’evoluzione incessante delle cose che non smettono mai di crescere, di evolvere e di amarsi e di farsi amare.

La mia vera preoccupazione non è mai stata Tornerà a casa sana e salva? ma sarà sempre: E’ felice?

Voglio disperatamente che sia felice, che si diverta, che si innamori e che tutti si innamorino di lei, che si senta carina, giusta, accettata, spensierata, libera, potente.

Un romanzo che contiene la vita, il resto dovete mettercelo voi.

Testo di Ursula Beretta

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