Quello che alle future mamme non dicono
Quando ero incinta della mia primogenita, tutti quelli che incontravo non facevano che alimentare la mia fantasia un po’ naïf legata all’esperienza della maternità: la gioia immensa e imperitura che avrei provato, neanche lontanamente paragonabile alle altre gioie provate prima (l’emozione di un 30 a un esame tosto, la laurea, il mio matrimonio impallidivano al confronto con quello che avrei provato diventando madre); la vertigine di avere un frugoletto in carne e ossa che dipende da te; la sensazione di essere al centro dell’universo, come se il mondo intero si fermasse e si inchinasse davanti a te che metti al mondo un figlio.
E poi vedrai, tutto ti verrà naturale, l’istinto materno ti guiderà’. Mi dicevano tutti.
E io mi ero illusa che tutto sarebbe filato liscio, perché sarei stata guidata – neanche a dirlo – dall’istinto materno. Ma non fila tutto liscio. Col senno di poi posso sottoscriverlo. Perché per quanto siate pervase da un enorme istinto materno, siete comunque delle principianti, per di più informate solo degli aspetti positivi e completamente (o quasi) all’oscuro di quelli deprimenti, pulp o poco romantici. Che, se avessi conosciuto quell’attimo prima di mettere al mondo i miei figli, avrei risparmiato tempo, fatica e attimi di sconforto e maternity blues.
Tipo che allattare al seno è meraviglioso ma per nulla una passeggiata, anzi a volte è anche cruento e doloroso. Che è una cosa naturale ma non è detto che riesca immediatamente a tutte. Che si impara, certo, ma non è detto che si abbia voglia di farlo a richiesta, anche se magari nel nostro immaginario pre-figli ci vedevamo come le mamme dei profili instagram danesi: con un neonato sempre al collo, nell’atto di allattare al ristorante, alla fermata dell’autobus, mentre si fa la spesa. Che non si è delle madri egoiste o di serie B se si decide di non allattare oppure di non farlo per almeno 3 anni: ogni madre ha il diritto di scegliere, senza interferenze, quello che sente sia meglio per sé e per suo figlio.
Che chiedere consigli e fare domande – alle ostetriche dell’ospedale in cui si partorisce oppure a un centro specializzato – su come impostare la routine con un neonato nei primi giorni di convivenza con lui, può essere di grande aiuto.
Che il momento perfetto, quello in cui ti mettono in mano tuo figlio e tu lo mostri con orgoglio al mondo e poi dormi un po’ per riprenderti dalla fatica del parto, dura lo spazio di una mezza giornata e prelude al periodo più duro, quello a cui penserete di non sopravvivere ma che, sappiatelo, giorno più o giorno meno, dura solo 40 giorni. Pochi o tanti che sembrino, sono 40. Dopo, la morsa si allenta, le cose iniziano magicamente a scorrere meglio, il meccanismo è ormai oliato: c’è la luce in fondo al tunnel. Io in realtà questa cosa la sapevo perché me l’aveva detta la mia amica Benni uno dei primi giorni della mia nuova carriera di madre. E a ogni sveglia alle 2 di notte, dopo un primo momento di sconforto mi rianimavo pensando che mancavano altri 10, 5, 2 giorni alla fine del tour de force.
Che avere qualcuno che vi aiuti nelle cose pratiche durante quei famosi 40 giorni (d’inferno) è fondamentale.
Signora, lei ha fatto il corso pre-parto? mi chiese l’ostetrica mentre mi preparava per entrare in sala parto.
no, risposi io, che semplicemente ero arrivata tardi alle iscrizioni.
Brava, il corso pre-parto non serve a niente.
Ecco un’altra delle cose che alle future mamme non dicono: il corso pre-parto, a parte essere un momento di condivisione di dubbi e riflessioni con altre future mamme, non serve oggettivamente a nulla. Non aiuta a ‘partorire meglio’ o con meno dolore. Perché in fondo non c’è un modo migliore o peggiore per partorire e in ogni caso sarete talmente nel pallone che non avreste la testa per mettere in pratica eventuali ‘istruzioni’ imparate prima.
Che catapultarsi, nel panico, al pronto soccorso perché il bambino ‘piange senza un perché’ fa parte del training: a fare i genitori, come a conoscere i propri figli, si impara giorno dopo giorno.
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