Quello che i (miei) bambini non vogliono

I bambini sono istintivi, selvatici. Nel loro mondo non ci sono regole da rispettare, obblighi, convenzioni: per loro esiste solo quello che li fa stare bene, che spesso fa a cazzotti con regole, obblighi e convenzioni di cui sopra. Ci sono cose che i bambini non vogliono fare. Punto e basta. E tu devi barcamenarti per trovare soluzioni efficaci che accontentino te e loro.

I bambini non vogliono lavarsi le mani. Ma neanche i denti o tagliarsi le unghie. L’igiene è qualcosa che istintivamente non gli appartiene, un’esigenza che non sentono propria e che rifiutano tutte le volte che possono. In casa mia quotidianamente va in scena una lotta, specie col mio secondogenito, in cui io cerco di fargli rispettare un minimo di routine che comprende il lavarsi la faccia al mattino, le mani ogni volta che tornano da scuola o dal parco, i denti dopo i pasti. Quando il loro dimenarsi mi pone in svantaggio, attacco con la favola dei microbi che vanno ad abitare sotto le ‘unghiacce lunghe da stregaccia’ dei bambini che non si lavano le mani e non si fanno tagliere le unghie da mamma e papà. L’effetto suggestione dura poco ma è efficace. Per di più il racconto è così avvincente che i miei figli spesso al posto della favola della buonanotte mi chiedono ‘la storia dei microbi’.

I bambini – i miei, almeno – non vogliono essere fotografati. E hanno ragione. Neanche a me piace che si mettano in posa come soldatini perché la mamma gli scatti una foto. Così io li fotografo spesso di spalle, quando loro non mi vedono. Li fotografo mentre sono intenti a fare qualcosa, ignari della mia presenza, in modo che continuino indisturbati. Più dei loro sorrisi a comando mi piacciono le loro espressioni naturali di quando non sanno di essere osservati. I bronci, le facce buffe che fanno. Voglio immortalare e conservare quelle, per quando loro saranno grandi e avranno voglia di rivedersi piccoli e per quando saranno lontani e io avrò una tremenda nostalgia di rivederli piccoli.

I bambini non vogliono che gli si metta fretta (ma hanno una fretta tremenda di ottenere ciò che vogliono). Più tu hai i minuti contati più loro se la prendono comoda, sembra quasi che intuiscano il tuo disagio e ti mettano alla prova sfidando – subdoli – i tuoi nervi. E tu ti senti pure in colpa perché hai letto da qualche parte che non si fa, non è educativo dire a un bambino ‘sbrigati, ché è tardi!’. E allora, per evitare figli al rallentatore, nervi a pezzi e sensi di colpa ho educato me stessa al fare le cose per tempo, a partire con un po’ di anticipo, rispettando i ritmi dei miei figli, che del tempo hanno un concetto che, evidentemente, non corrisponde al mio. Sta a noi educarli alla pazienza, al SAPER ASPETTARE, perché se la risposta alle loro domande incalzanti arrivano 5 minuti dopo che sono state poste e non 3 secondi dopo, non muore nessuno.

I bambini non vogliono che gli si chieda ‘com’è andata oggi a scuola?’. Lo so, la domanda annoiava e indisponeva me quando ero piccola e capisco che non abbiano alcuna voglia di rispondere. Quindi, semplicemente, questa domanda non gliela faccio più. Aspetto i momenti di intimità in cui loro sono tanto rilassati e abbastanza ispirati da aver voglia di raccontarmi, spontaneamente, dettagli della loro giornata. L’importante è essere vigili e pronti, perché potrebbe accadere negli istanti più impensati: mentre sono sul water aspettando che la pipì arrivi, mentre fanno il bagno oppure un minuto prima di addormentarsi.

I bambini non vogliono che si interrompano i loro giochi se non sono loro stessi a interromperli. Che sia per portarli via da una festa prima della fine, oppure dal parco mentre stanno ancora sull’altalena, non so voi ma io sudo sette camice ogni volta, inventandomi di tutto: dal ‘c’è una sorpresa che vi aspetta’ al ‘sono arrivati i nonni!, al ‘se venite via vi prometto che stasera pasteggeremo a ovetti Kinder’. La formula efficace, che sia educativa e che non comporti strascichi di capricci e lamenti, ammetto di non averla ancora trovata….

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