Raccontare il dolore: due romanzi lievi e struggenti
Ci sono tanti modi per parlare dei dolori che, esattamente come la felicità, la vita mette sul nostro cammino. Uno di questi è scriverne. E, ovviamente, non è cosa da poco.
Cosa succede quando hai 26 anni e un medico ti diagnostica una malattia degenerativa, un Alzhaimer precoce che in poco più di due anni ti porterà alla morte? Scegli di provare delle cure sperimentali finendo i tuoi giorni in un ospedale oppure decidi di goderti a fondo il tempo che ti resta, lontano da piagnistei e facce contrite, per assaporare quella bellezza che poi ti verrà tolta? La risposta è facile se a darla è Mélissa Da Costa, l’autrice francese che torna in libreria dopo il successo de “I Quaderni Botanici di Madame Lucie”, con “Tutto il blu del cielo” (edito da Rizzoli come il precedente) un romanzo nel quale, ancora una volta, si impadronisce di un tema doloroso e con la sua squisita sensibilità lo consegna, per completarlo, al lettore. È la normalità quella che cattura nello stile di un’autrice che non si perde in scontati retoricismi ma disegna i suoi personaggi come catturati nella vita reale, ovviamente con tutto quello che ne consegue. E se potrebbe essere facile cedere a sentimentalismi equivoci, bè, non c’è nulla da temere perché la Da Costa si rivelerà un’ottima compagna che renderà le oltre 600 pagine del suo scritto scorrevoli e profondamente impattanti.
“L’unico vero viaggio non consiste nell’andare verso nuovi paesaggi ma nell’avere occhi nuovi”. Anche chiedendoli in prestito a qualcun altro, o meglio, altra. È quello che fa Emile quando, dopo aver ascoltato il drammatico responso del medico, decide di abbandonare tutto – la sua città, gli affetti, un amore finito – e di visitare i Pirenei, suo grande sogno, con la compagnia di una sconosciuta, J0anna, reclutata grazie a un annuncio su internet, e a un camper allestito come una casa. Quello che si preannuncia come un viaggio difficile amplificato dallo scontro tra i caratteri completamente agli opposti dei due ragazzi – e in cui i segreti e le vicende passate avranno un ruolo importante – si rivelerà una sorta di esperienza catartica nel cuore stesso della vita. Di cui faranno parte tanto immersioni nella natura quanto un’umanità frastagliata tutta da scoprire, che non sarà parca di sorprese e, soprattutto, di amore. In cui ci sarà modo di portare alla luce traumi apparentemente insormontabili trattati con una delicatezza e un rispetto che rende la penna di questa scrittrice un unicum nel panorama contemporaneo.
Straziante e bellissimo. Come la vita. Così è il magnifico libro di Crocifisso Dentello, “Tuamore” (edito da La Nave di Teseo), un memoir con il quale l’autore tenta di esorcizzare il dolore di un lutto racchiudendolo in una dichiarazione di amore eterno per la madre amatissima da poco scomparsa. Perché perdere la persona più cara, tirare le fila del tempo per cercare di cristallizzarne gli attimi rendendoli eterni e, per questo, sempre presenti, a volte può essere l’unica soluzione. È così che Dentello sceglie di fare, affidando alle parole la storia di un legame che è la sua storia stessa, di figlio adorato e di spettatore privilegiato della vita di una donna a cui il destino non ha regalato nulla ma che, lungi dal farsene un cruccio, ha saputo piegare con la sua ironia, con la sua indefessa voglia di vivere, con quel modo bizzarro e bellissimo di prendersi gioco delle avversità con un sorriso.
Velia Carmela, da tutti chiamata Melina, è sempre stata una donna forte, coraggiosa, ironica; tifosa di calcio e appassionata di cinema, allegra anche nelle disgrazie, madre ma soprattutto complice per un figlio solitario mai totalmente accettato da una società che lascia ai margini la diversità. Ma quando il cancro ritorna per la seconda volta nella sua vita tutto cambia: il tuamore, chiamato così per esorcizzarne la sventura, trasforma l’esistenza di madre e figlio ma mostra ancora una volta la tempra di una donna che non rinuncia a scherzare sopportando stoicamente i cedimenti del suo corpo. E che, se possibile, viene amata ancora di più dal figlio che traduce il flusso emotivo del suo cuore in un tributo speciale all’unica persona capace di prendere la vita – e lui stesso, di conseguenza- nel modo migliore possibile. Con leggerezza.
“Mi manca il tuo stare al mondo con noncuranza. Tutta dentro a una comicità involontaria che forse è stato il modo migliore per aggredire questa vita balorda”.
Testo di Ursula Beretta
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