Tornare a sentirmi figlia
Una pesca sbucciata e tagliata a pezzetti che mi aspetta sulla tavola del soggiorno. Apparecchiare per non meno di 6 persone e restare a tavola fino a tardi a mangiare gamberoni appena pescati raccontando di Milano. Aprire l’armadio della mia camera e trovarci dentro i jeans anni ’80 a vita alta dei miei 16 anni, il maglione un po’ infeltrito che mi teneva caldo nei pomeriggi di studio, la maglietta rosa che indossavo per andare in spiaggia e che indosso proprio adesso, mentre scrivo. Tornare, specie in estate, nella casa della mia infanzia per me significa spogliarmi per un po’ delle vesti di madre ed entrare in quelle di figlia. Letteralmente.
Varco la soglia con i bambini e, fin da subito, mi sembra di non essere più io quella che accudisce ma di essere quella accudita: ho la sensazione di poter mollare la presa, abbassare la guardia, rilassarmi. La mattina riesco a dormire più di quanto riuscirei mai a Milano grazie ai miei che si svegliano presto e intrattengono i bambini – da sempre piuttosto mattinieri – portandoli ad annaffiare le piante o a fare un giro in bici prima di prepararsi per andare al mare. Lascio che mio padre prepari a Olli la colazione con pane olio e pomodoro, che lei qui ama tanto e che forse a Milano non mangerebbe mai. La sera, messi a letto i figli, mi capita di accucciarmi sulle ginocchia di mia madre a farmi accarezzare i capelli oppure di mettermi a leggere nello stesso angolo del soggiorno, quello accanto al camino, dove mi mettevo a leggere quando ero piccola.
La spesa si fa in funzione del fatto che ci siamo io e i bambini: si compra il pesce che a Milano non si trova, si preparano i piatti ‘della memoria’, si celebra la convivialità, quella che a casa nostra è stata sempre molto importante e molto coltivata.
Qui, sono perfino aperta ai consigli pedagogici pseudo-montessoriani di mia madre, che pur non vedendo spesso i nipoti nel corso dell’anno, parla come se li avesse sempre sotto gli occhi: la lascio parlare e la ascolto come una figlia che ha bisogno del parere di sua madre per orientarsi e non come una madre che ha ormai la sua vita, la sua famiglia e gestisce tutto affidandosi solo al suo buonsenso e alla sua maturità, ormai da anni. La verità è che mi piace vederla partecipe, coinvolta.
Tornare, di tanto in tanto, a sentirmi figlia mi pare terapeutico, mi conforta, mi dà l’illusione che il tempo che passa lasci immune la mia famiglia: anche se la mia vita è da tempo a Milano, voglio credere che in questa parte di mondo i volti dei miei genitori, i loro abbracci, le loro attenzioni, il loro starmi attorno restino identici. Pronti ad accogliermi, immutabili, ogni volta che torno.
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