Tre (intensi) romanzi al femminile

Tre romanzi tutti al femminile, tre storie diverse, intense, forti. Novembre si apre così, con un omaggio alla letteratura in rosa – ma attenzione, questi libri sono ben lontani dall’essere catalogati come chick lit –  in un mese in cui l’attenzione per le donne è prioritaria, come poi dovrebbe sempre essere sempre.

Federica Bosco, Camila Sos Villada, Chiara Gamberale: ognuna di loro ha una voce inconfondibile, uno stile unico che la distingue dalle altre, una sensibilità preziosa e fuori dall’ordinario i cui risultati si vedono, o meglio, si leggono. Una donna che in età adulta cerca la maternità; una favola en travesti di una ragazza intrappolata nel corpo di un maschio; una vicenda sentimentale che affonda le sue radici nella storia familiare della protagonista.  Libri che lasciano il segno, che si fanno leggere, divorare; che aiutano a pensare e di quei pensieri ne fanno un trampolino spalancato su altri, senza continuità ma in maniera estremamente dolce.

Giulia si sveglia la mattina del suo 49mo compleanno scoprendo di avere tutto – un lavoro come giornalista, un fidanzato amatissimo, un gruppo di amiche di riferimento, una famiglia adorata seppur disfunzionale – e di non avere niente. Laddove quel niente è un figlio, dei figli. Dal bilancio esistenziale fatto davanti a una tazza di caffè ha inizio “Non dimenticarlo mai” di Federica Bosco (Garzanti editore), un romanzo di domande e, soprattutto, di risposte, quelle stesse davanti alle quali ogni donna si è scontrata nel corso della sua vita.

La verità è che Giulia, quei figli, non li ha mai voluti. Se è vero che c’è sempre stato qualcosa d’altro a venire prima, la realtà è tutta da scoprire nella vicenda di una donna che ha dovuto fare i conti con una madre- bambina preda dei suoi demoni ludopatici e ben vestiti, con una professione voluta e coltivata a suon di aperitivi, riunioni e rendez vous con il vip di turno, con amiche che hanno condiviso la sua ansia di libertà e a un certo punto hanno lasciato tutto per fare quei bambini ai quali lei ha comprato giocattoli e dedicato sorrisi. E, soprattutto, con il tempo che passava, inesorabile e spietato ancora di più con una donna che si è ritrovata al limite massimo per poter procreare senza nemmeno quasi rendersene conto.

“Chi ero io? A chi appartenevo? Dov’erano le mie radici? La mia discendenza? La mia famiglia?
Dov’erano i miei figli?
Questa fu la frase che mi fece gelare il sangue e non a causa dell’attacco di panico.
No, questa era paura vera, reale, motivata.
Dove. Erano. I. Miei. Figli.

Il risultato è una mancanza devastante alla quale la protagonista vorrebbe porre rimedio ma per farlo sceglie gli alleati sbagliati: un compagno manipolatore e narcisista, le amiche più care che l’abbandonano senza capirla, un ginecologo concentrato su sé stesso, una madre, sempre lei, poco decisa a diventare nonna per rinunciare alla sua tragicomica ludopatia. E Giulia, abituata a farcela da sola, sceglie di andare avanti e di imparare, poco per volta, a proteggersi dai falsi legami che le impediscono di essere felice, ricerca quell’empatia di cui troppo spesso ha fatto a meno in sconosciuti con i quali condivide lo stesso cammino, fino a trovare un senso più profondo della maternità che è fatto poi di quel bisogno di amore, da dare e da ricevere, su cui si fonda tutta la vita.  Temi profondi che la mano leggera di Federica Bosco tratteggia con delicatezza e rispetto facendo della sua Giulia un personaggio forte e malinconico insieme, che impara a non schermarsi con le sue debolezze ma a renderle, finalmente, la vera discriminante della sua vita.

Diversa è la storia di Camila e delle sue amiche trans, donne che si prostituiscono, che si alleano, che amano e sono vittime delle peggiori violenze in un mondo che non accetta il diverso e, oltre che metterlo ai margini, lo rende oggetto prediletto di angherie e stupri. Ma la tragicità è edulcorata da un realismo magico che riprende le fila della tradizione letteraria sudamericana in un romanzo di autofiction delicato, a tratti grottesco, spiazzante per la crudezza con cui certe vicende vengono raccontate ma ricondotto al contempo a una dimensione più lieve proprio da quel tocco originale di fantasia che fa la differenza. Leggere “Le cattive” di Camila Sosa Villada (edito da Sur), equivale a concedersi un’immersione in un luogo in cui tutto è concesso ma anche no, adottando il punto di vista di una donna rinchiusa in un corpo maschile che tratteggia la sua esperienza di trans, studentessa, figlio poco modello e prostituta all’interno di una comunità, quella di altre come lei riunite nel Parco del Sarmiento intorno alla figura magica di Zia Encarna, che sostiene, accoglie, punisce e perdona le sue strane figlie. Un libro potente e bellissimo, che diventa una storia di accettazione di sé, in primis, e di identità in cui anche i buchi neri e gli abissi di ognuno possono essere una forza travolgente, esattamente come il ritmo narrativo intenso ed emozionale che fa ubriacare. Letteralmente.

Chiara Gamberale fa Chiara Gamberale in “Grembo Paterno” (edito da Feltrinelli), un romanzo in cui il passato e il presente si incontrano -e si scontrano – nella storia di Adele, quarantenne madre single, con un trascorso bulimico alle spalle e un rapporto affamato con un uomo già sposato. Il perché è tutto da cercare nell’infanzia solitaria di una bambina travolta da un padre poco capace di amare ma non per questo meno esigente e da un sentimento di inadeguatezza coltivato allo stremo, al netto di successi professionali non indifferenti. Adele è sola, sola con la sua Frida, sola nell’amore per un uomo che le darà briciole – si torna sempre a tavola – per colmare un vuoto invadente e stupidamente fagocitante.  Mangiare senza farsi mangiare. Cercare la felicità senza lasciare che dubbi, paure, fantasmi, ossessioni la divorino ottusamente. Crescere sé stessi e una figlia facendo fagotto di aspettative ingombranti e inutili, scegliendo di non aver paura dell’amore e di costruire con questo qualcosa che vada oltre il passato che comunque nessuno si può scegliere. Uno dei romanzi più personali della scrittrice che qui ha riversato i temi a lei cari e ha reso la protagonista terribilmente vera, reale, presente.

“Nel grembo paterno. Dove galleggiamo quando ancora non siamo successi, nella pancia delle donne, nella mente degli uomini che ci aspettano e che, se si perdonano di farci venire al mondo senza avercelo chiesto, in quei 9 mesi devono per forza promettere a noi che tutto ci perdoneranno, che basterà l’amore, l’amore sistemerà sempre quello che sbagliamo”.

Testo di Ursula Beretta

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