Tre romanzi al femminile che vi resteranno dentro
34 fulminanti capitoli per raccontare, con ironia e senza filtri, la vita di Giulia e la sua concezione dell’amore e delle relazioni, che passa per le madeleines in cui ritrova la memoria dell’adorato nonno e attraverso la simpatia di un cocker, Olivia, che in qualche maniera le salva le giornate. Perché trovare il proprio posto nel mondo equivale a fare i conti con quello che è stato e che in qualche maniera ci ha marchiato per sempre. Esattamente come racconta Giulia Serughetti in “Amore assoluto e altri futili esercizi” (Marcos y Marcos).
“Per me la parmigiana di nonna è la metafora dell’assoluto. Conosco tante persone che leggono libri sull’amore, che si concentrano sull’amore a due, che cercando di fare una parmigiana in venti minuti che sembri buona, che si convincono che sia buona. E non capiscono che hanno saltato tutti i passaggi fondamentali, non basta decorare il piatto con una foglietta di basilico. Non bisogna aggiungere, bisogna togliere. E stare ore al sole, farsi impanare, passare attraverso l’olio bollente e forse, forse, solo così arrivare ad amare veramente senza annegare nella tua acquetta”.
In mezzo c’è Roma, ci sono le donne che Giulia seduce e dalle quali si fa sedurre; ci sono considerazioni e idiosincrasie in un pastiche ben orchestrato di realtà e pensieri che, grazie a una scrittura brillante, renderanno la lettura di questo libro tanto anomalo quanto bello, piacevole e infinita.
E poi c’è Roberta che il proprio posto nel mondo ancora non l’ha trovato. Ma ben lungi dal darsi per vinta, cerca nel cibo – salvifico e devastante, illuminante e respingente – la chiave per provare a dare forma a tutto quello che la società le nega o che lei stessa non vuole, per ritrosia, prendersi. Lo racconta Lara Williams in “Le divoratrici” (Blackie Edizioni) un romanzo su cui è stato scritto di tutto – un fight club in chiave rosa, un inno al femminismo tout court, un manuale di autodistruzione – ma che, al netto di ogni etichetta, è essenzialmente un bel libro che vede al centro una storia di donna e di donne, di relazioni e di appetiti, di corpi e di spazi, che potrebbe far parlare di inclusività ma che non si riduce solamente a questo.
Trent’anni o poco più, un passato negli anni universitari di solitudine e di nostalgia sempre accompagnato dalla certezza di essere diversa dagli altri ma non per questo migliore, Roberta, la protagonista del romanzo, ha una sola valvola di sfogo, la cucina. Cucinare e mangiare diventano il suo unico diversivo e le fluttuazioni del suo peso sono la cartina tornasole della sua esistenza alienante che muta quando, una volta impiegata in un sito web di moda, si imbatte in Stevie, un’artista eccentrica con la quale nasce un’amicizia intensa e a tratti malsana. Il rapporto che si crea tra le due è esclusivo fintanto che, durante la costante ricerca di trovare un modo per emanciparsi da dinamiche sociali eccessivamente rigide, le due creano una sorta di società segreta per donne, il Supper Club. Non una setta di poeti estinti, semmai un club sui generis di donne che periodicamente si incontrano per dare sfogo ai loro appetiti. Senza regole, in maniera bestiale, con una modalità che sembra volerle ripagare dalle violenze che tutte loro, in qualche modo, hanno ricevuto dal mondo in cui vivono.
“e se in realtà tutti gli spazi fossero restrittivi, tutto il mondo fosse progettato per inibirci, e anche solo per esisterci volesse dire infrangere un tabù profondo? Che succede se smetti di rimpicciolirti costantemente, tutto il tempo, e invece ti ingrandisci? Forse, per trovare lo spazio necessario per ingrandirti, devi prendertelo”.
Ed è quello che queste donne affamate, violate, deluse, represse, sconfitte fanno, mangiando fino a stare male, distruggendo tutto quello che trovano, facendo uso di droghe e guardando il loro corpo ingrandirsi senza ritegno, meno che mai davanti ai maschi. Un libro che è un manifesto alla libertà, un inno a prendersi tutto e anche di più. Senza timore di cadere, appropriandosi di ricette provvidenziali, di cucina come di vita, e godendo di una lingua colloquiale e svelta, decisamente deliziosa.
Se volessi scrivere una storia della mia adolescenza, con gli annessi e connessi del caso, la affiderei sicuramente a Dolly Alderton che in “Tutto quello che so sull’amore” (edito da Rizzoli e tradotto magnificamente da Veronica Raimo) consegna un ritratto (biografico?) a tinte forti di ciò che significa diventare grandi. E lo fa prendendo a prestito la vita di una Millennial londinese, ma soprattutto la genesi del suo concetto di amore per racchiuderlo in un memoir schietto ed esilarante, scandito dagli anni che passano e che, come rosari, ne marchiano l’evoluzione. Un romanzo che trasforma la nostalgia per la giovinezza in una storia di amicizia al femminile; che fa sua la costruzione di sé tra ricerche di punti di riferimento e ansie di ribellione, tra gli spauracchi degli errori e l’infinita lista di possibilità e di cancellature che la vita spalanca davanti. Una lettura irresistibile.
Testo di Ursula Beretta
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