Vera

Do you see everything as an illusion? Do you derive joy from diving in and seeing that loving someone can actually feel like freedom?

Una vecchia canzone di Alanis Morissette e un romanzo inaspettato, nel quale accucciarsi in un pomeriggio autunnale piovoso e bigio, con la certezza che l’amore, ora come allora, possa qualsiasi cosa. Ma è davvero così o è un’illusione?

Leggete Vera di Elizabeth Von Arnim, edito da Fazi Editore, e costruitevi la vostra risposta, al netto di tutti gli interrogativi che questo romanzo, scritto quasi un secolo fa, vi porrà immergendovi nel fatiscente labirinto dell’amore coniugale dove niente è quello che sembra e tutto pare irrimediabilmente ambiguo.

Tutto tranne Lucy Entwhistle, ventiduenne dalle fattezze infantili, che si trova a fare i conti con la scomparsa del padre e con un dolore che non sa gestire: confusa, affranta, ancora incredula tanto da non provare emozioni evidenti, la ragazza viene svegliata dal suo stato apatico dalla comparsa, sulla soglia della sua casa in Cornovaglia, di Everard Wemyss. L’uomo, dai modi signorili e più anziano di lei, ha appena affrontato il lutto della moglie Vera, morta in condizioni misteriose il cui eco l’ha costretto ad allontanarsi da Londra per trovare pace dalle voci e dai sospetti che hanno circondato l’accaduto.

Prima che Lucy – e il lettore stesso – ne sia consapevole, Wemyss entra nella sua vita facendosi largo tra incombenze da sbrigare e parenti da accogliere, compresa la dolce zia Dot, l’unica parente che sia rimasta alla ragazza e che la ospita nella casa di Londra, ben presto cuore di un amore in fieri che nasce in sordina dal dolore. Fin qui nulla di strano, compresa la tenerezza con la quale Lucy avvolge quello che, diventa, a breve, il suo fidanzato, con un amore devoto e grato e, per certi versi, affine a quello paterno, e il matrimonio, rimasto segreto per evitare le voci che turbano la zia legatissima alla nipote, che non si decide a concedere la fiducia al nuovo genero.

In fondo, disse, che cosa c’è di meglio di un marito devoto?”

E la vedova, che di mariti ne aveva avuti tre e sapeva di cosa parlava, con la calma totale di chi ha chiuso ogni conto e può infine soppesare e valutare con calma le situazioni rispose “Nessun marito”.

E mentre ci si gode la luna di miele in Francia cominciano a emergere, nella narrazione, una serie di dettagli inquietanti che culmineranno nell’ingresso a The Willows, la casa dove pochi mesi prima si è consumata la tragedia di Vera e dove i due novelli sposi si trovano a vivere.

Scritto diciassette anni prima di “Rebecca, la prima moglie” di Daphne du Maurier, il romanzo della Von Arnim ne anticipa le atmosfere e le trasferisce in un’indagine essenziale, a tratti illuminante, capace di contrapporre la fragile innocenza di una donna innamorata all’ottusa e maniacale personalità di un uomo cinico e irrisolto, trasformandola in una storia terribilmente attuale in cui i fantasmi dei defunti sono una presenza costante e quasi un monito per il futuro.

Tra personalità a contrasto ed epifanie romantiche, l’autrice tratteggia magistralmente la storia di un amore puro capace di mutarsi nel suo esatto contrario, in cui l’abuso di potere maschile – seppure mediato dai bei modi e da uno status sociale elevato – può diventare fonte di fine e sottile violenza. Tutto terribilmente contemporaneo, no?

L’unico modo per sopravvivere al matrimonio è abbassare la testa e lasciare passare l’onda.”

Lo stile limpido e brillante, capace di disseminare nella narrazione piccoli indizi di un disagio in crescendo e, al contempo, di descrivere minuziosamente la quotidianità con quel gusto tipico delle scrittrici inglesi, rende “Vera” un romanzo perfetto, sospeso tra thriller psicologico e romanzo di (dis)amore, dalla lettura veloce e con un solo, unico suggerimento, quello di fare sempre attenzione alle apparenze.

Testo di Ursula Beretta

 

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